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Quote rosa: grande risorsa, piccolo alibi

Questo commento è stato pubblicato da L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi

E’ incredibile quanto i partiti abbiano reso difficile una cosa semplice: come eliminare gli ostacoli che hanno finora impedito alla maggioranza del popolo sovrano, cioè alle donne, di essere rappresentate in Parlamento e nei luoghi della politica con equità.

Qualche dato illuminante. In quasi settant’anni di Repubblica, tutti e tre i vertici più importanti dello Stato sono stati sempre e soltanto occupati, è il caso di dirlo, da uomini. Presidenza della Repubblica, presidenza del Senato, presidenza del Consiglio: nessuna donna tra noi. Come per la Corte Costituzionale e per la suprema poltrona della magistratura, la Cassazione, dove la cosiddetta “questione di genere” è stata risolta alla radice: soli uomini al comando.

Del resto anche le attuali e principali forze politiche – Pd, Cinque Stelle e Forza Italia – confermano la regola conclamata de “il” leader per tutti. Dunque l’occasione della nuova legge elettorale all’esame della Camera, unica istituzione politica dove nel corso del tempo tre donne siano state elette alla presidenza (nell’ordine Iotti, Pivetti e l’attuale Boldrini), era l’occasione per porre rimedio a un torto oggettivo e soggettivo. Per trovare quel modo che garantisca con ragionevolezza la partecipazione del genere finora storicamente escluso e discriminato dalla contesa.

Una scelta che altrove, quel resto d’Europa che molto critichiamo e poco conosciamo, qualche risultato l’ha pur prodotto, se si pensa che fra i maggiori statisti riconosciuti negli ultimi tre decenni figurano ai primissimi posti due signore: l’inglese Margaret Thatcher e la tedesca Angela Merkel. Invece da noi il tema è diventato un balletto indecoroso, un tira e molla ideologico-partitico a colpi di presunte incostituzionalità, insopportabili imposizioni di quote-rosa, conculcata libertà di scelta degli elettori e altre scuse che poco o niente hanno a che fare con il merito del problema. Che è uno solo: dare voce a tutti e a tutte nell’interesse di quella società attiva e consapevole che a parole la politica sostiene di voler interpretare.

Il giochino è stato facile. Il governo si è pilatescamente rimesso alla volontà dell’aula. E l’aula, naturalmente nel segreto del voto, ha fatto prevalere tutti i dubbi che erano stati sollevati apposta per impallinare la parità di genere. Una battaglia trasversale da entrambi gli schieramenti, favorevole una maggioranza di donne e contraria una maggioranza di maschi. E pur esistendo tante formule legislative per evitare la patetica contrapposizione fra generi. E così ciò che poteva rappresentare una grande risorsa per tutti si è trasformato in un piccolo alibi per i tanti “uomini di potere”, che non guardano né alle ingiustizie del passato né alle sfide del futuro, riducendo l’Italia all’eterno ombelico del proprio collegio elettorale.

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