Chi ha intenzione di intralciare il treno delle riforme in corsa avviato dal governo Renzi è gentilmente – neanche troppo gentilmente, per la verità – pregato di farsi da parte. Il segretario del Pd tira dritto sulle polemiche e nella direzione del Pd convocata ad hoc per discutere sulle riforme, spiega in realtà che sui punti più discussi delle stesse non si può discutere.
I contratti a termine e l’apprendistato su cui tanto si è scaldata la minoranza del partito non sono “argomenti a piacere – fa notare Renzi – ma punti intoccabili di un pacchetto che sta insieme”. Quindi la riforma che, durante il suo intervento, Stefano Fassina definisce “di Sacconi e Forza Italia” va avanti, indipendentemente dalla discussione “con toni da ultimatum” messa in piedi da Giovani turchi e sinistra democrat.
Anche sulla guida del partito, Renzi non cambia idea nonostante lo strepitare di molti nel Pd. La sua proposta, che sarà formulata ufficialmente in sede di assemblea come vuole il regolamento, è di nominare come vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini. Altro che “gestione unitaria” richiesta da Cuperlo ed Epifani dunque, altro che reggente mentre il segretario è impegnato a Palazzo Chigi. Largo del Nazareno resta nelle sue mani, affidato a due renziani di ferro, che secondo il presidente del Consiglio “sono uno strumento di garanzia, non di polemica interna”. Anche se non risulta del tutto chiaro cosa intenda Renzi per “garanzia”. Ciò che è chiaro invece è che in un Pd sempre più a sua immagine e somiglianza, l’interesse per le istanze espresse dalla minoranza dem si assottiglia sempre di più.
Ciò che conta, e il segretario nel suo discorso l’ha ripetuto più volte, è non fermare la speranza che – secondo il premier – si è rimessa a correre nel Paese, quella che permetterà al Pd di centrare l’obiettivo delle Europee e delle amministrative tra due mesi. “E’ una partita che possiamo vincere a condizione che il Pd faccia il suo mestiere”, ammonisce Renzi.