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Perché Super Renzi mi ha un po’ deluso col suo Mega Piano

Confesso la mia delusione. Io ci avevo creduto davvero. Credevo, sul serio, che dal consiglio dei ministri del supermercoledì uscisse una misura concreta, un provvedimento da presentare al Parlamento, il cui articolo uno suonasse press’a poco così: “A partire dal giorno X l’aliquota fiscale si redditi imponibili fino a 25 mila euro annui è ridotta a X per cento”.

Metto le X perché determinare il timing così come il quantum spetta soltanto al governo. E dipende dalle circostanze, dalle coperture finanziare, dalle mille tecnicità. Invece, così non è stato. Non c’è nessun articolo uno.

Ma come, per la prima volta in tanti anni qualcuno mette in circolazione del denaro e io mugugno e mi lamento? No, per carità, riconosco che può essere davvero una svolta. Appunto, può esserlo, non lo è ancora.

Le slide di Renzi ci hanno presentato tante promesse. Pledge, è la parola usata dal Financial Times che è un po’ più forte di promessa, vuol dire impegno e in effetti si tratta di impegni politici. I dettagli seguiranno, come la salmerie del generale de Gaulle. Ma intanto la cavalleria resta ancora in attesa, per ora sono partite solo le vedette.

La delusione maggiore riguarda il mercato del lavoro. Non mi è chiara la portata dei cambiamenti. C’è una marcia indietro rispetto alla legge Fornero e una più netta apertura alla flessibilità in entrata e ai contratti a tempo determinato. Non capisco se ci sarà qualcosa sulla flessibilità in uscita. C’è chi dice che in realtà vuol superare l’art.18 senza abolirlo, una operazione degna della dialettica hegeliana. Ma l’Aufhebung che ha il duplice significato di togliere e conservare, non funziona nemmeno in filosofia, come mi spiegava Lucio Colletti negli anni di Università, figuriamoci in economia. Quanto allo strumento scelto, cioè il disegno di legge delega, abbiamo già visto come è finita nel passato.

Wait and see. Le cose sono due: o Renzi ha venduto la pelle dell’orso ben prima di averlo non solo ucciso, ma inquadrato nel mirino, oppure ha ricevuto negli ultimi giorni una serie di stop. Chi sono i frenatori? Olli Rehn, il commissario europeo o il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, oppure Giorgio Napolitano preoccupato delle compatibilità, grande tema lamalfiano con il quale faceva i conti fin da quando era uno dei cervelli più lucidi del Partito comunista? Non si sa, anche se lo si può ben immaginare.

L’analisi completa si può leggere qui


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