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Renzi punti sulla golden rule per rilanciare gli investimenti pubblici produttivi

Il Consiglio Europeo ha sottolineato che “nel pieno rispetto del patto di stabilità e crescita, le possibilità offerte dal quadro di bilancio esistente della Unione europea per equilibrare la necessità di investimenti pubblici produttivi con gli obiettivi della disciplina di bilancio potranno essere sfruttate nel braccio preventivo del patto stesso”. Tale conclusione, che rimanda alla nozione di “risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita”, sembra dunque suggerire che quei paesi che riescano a mantenere il disavanzo annuo al di sotto della soglia del 3% del Pil potranno usufruire di una valutazione maggiormente flessibile da parte della Commissione, fino a prevedere un’applicazione della golden rule.

La golden rule è abbastanza ambiziosa in quanto tesa a identificare quegli investimenti pubblici che non “spiazzano” gli investimenti privati e anzi, li incentivino. L’auspicio è che gli investimenti pubblici si “autofinanzino”, generando il gettito fiscale necessario per ripagare il debito che è servito per finanziarli.

Peraltro, nel quadro dell’ordinamento europeo vigente, la possibilità di introdurre una nuova golden rule sembra essere legittimata dall’art. 126, par. 3, del Tfue, che prevede tra i fattori di valutazione cui la Commissione deve fare riferimento nella fase che precede l’avvio dell’Edp (Excessive deficit procedure), “la differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti”, oltre ad “altri fattori significativi” tra i quali il Six-pack (regolamento 1177/2011) nomina “il livello del saldo primario e l’evoluzione della spesa primaria corrente e in conto capitale”.

In altre parole, se finora la maggior parte della flessibilità data dal Six-pack è consistita nel concedere a paesi evidentemente in difficoltà, come Spagna, Portogallo, Grecia e più recentemente Francia, un arco temporale più ampio per rientrare negli obiettivi sul disavanzo, l’applicazione della golden rule permetterebbe a paesi che “si sono comportati bene” (disavanzo minore del 3% del Pil) di scorporare dal computo del disavanzo le spese per investimenti pubblici produttivi.

Uno dei nodi principali che il Governo Renzi dovrà sciogliere durante il Semestre europeo ruota proprio intorno a questo interrogativo: in base a quale principio si dovrebbe rinunciare a compiere investimenti pubblici produttivi per rispettare una soglia nel rapporto disavanzo/Pil fissata arbitrariamente al 3%? Se infatti questi investimenti fossero effettivamente produttivi e non implicassero uno “spiazzamento” degli investimenti privati (come è lecito supporre oggi, data la fase ampiamente recessiva del ciclo economico) non vi sarebbe alcun ragionevole impedimento a far sì che quegli investimenti vengano al più presto sbloccati. Nella misura in cui contribuiscano a una crescita del Pil, essi sono addirittura in grado ad agevolare il rientro dal deficit eccessivo.

* Delegato alle politiche fiscali del Comitato di presidenza di Unimpresa

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