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Roberta Pinotti e le altre ministre. Donne al comando

Stefania Giannini, ordinaria di Glottologia e linguistica e rettore dell’Università per stranieri di Perugia, oggi ministro dell’Istruzione.
Federica Mogherini, responsabile esteri del Pd, già presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, membro della commissione Esteri e della commissione Difesa della Camera. Oggi ministro degli Esteri.
Roberta Pinotti, insegnante di liceo, senatrice Pd, vicepresidente della commissione Difesa del Senato. Oggi ministro della Difesa.

Per la prima volta nella storia repubblicana, il mondo della Difesa in senso lato si specchia in quello di tre donne ministro: dal Miur diretto da Stefania Giannini dipende la scelta del nuovo presidente dell’Agenzia spaziale italiana. Il ministero degli Esteri è superfluo dirlo, incrocia costantemente il ministero della Difesa. Anche quest’ultimo avrà, proprio come è accaduto di recente in Germania con la nomina di Ursula von der Leyen, un ministro donna: Roberta Pinotti.

Una novità assoluta per il nostro Paese, ma tutt’altro che una novità per l’Europa che ha già visto la Difesa a direzione femminile in Spagna e in Francia. Al momento, a parte la già citata von der Leyen, altre tre donne reggono i ministeri della Difesa: Ines Eriksen Soreide in Norvegia, Karin Enstrom in Svezia, Jeanine Hennis-Plasschaerf in Olanda. Il tweet con la loro foto ha fatto il giro del mondo, ma adesso dovranno scattarne un’altra, aggiungere al gruppo Roberta Pinotti.

Chi è il nuovo ministro della Difesa italiana?

GUARDA LE FOTO DI ROBERTA PINOTTI E LE DONNE DELLE FORZE ARMATE

Genovese, un’esperienza di politica locale come assessore al Comune del capoluogo ligure, Roberta Pinotti ha raccontato di aver vissuto male la contraddizione tra le sue convinzioni di donna di sinistra e il lavoro in commissione Difesa.
“All’inizio ho fatto fatica – ha dichiarato in un’intervista – in commissione Difesa ci si trova a dover votare provvedimenti che riguardano armamenti verso i quali non avevo nessuna propensione. Il contrasto con la mia coscienza era abbastanza forte, ammetto di averne sofferto, in alcune circostanze ho lasciato la seduta in commissione per non votare contro la decisione del gruppo. Sono stati mesi di profonda sofferenza. Mi chiedevo “serve davvero? Davvero dobbiamo investire così questi soldi?” Il cambiamento non è stato immediato, a un certo punto avevo perfino pensato di trasferirmi nella commissione Affari sociali, mi dicevo “meglio dare soldi agli asili nido o alla sanità, non è che tutte le volte che partecipo a una seduta della commissione Difesa devo star male”.

Le cose sono cambiate, ha raccontato ancora Roberta Pinotti, quando piano piano si è andata convincendo del fatto che “anche un partito di sinistra deve avere una posizione sulle Forze armate, se devono esserci, a cosa devono servire”. Un aiuto, nel processo di chiarimento delle sue posizioni, le è venuto dall’incontro con Michelle Bachelet, allora ministro della Difesa in Cile. Roberta Pinotti la incontrò perché Bachelet aveva voluto prendere parte a una seduta della commissione Difesa per illustrare una relazione sull’Onu. “Al termine dell’incontro – racconta il ministro Pinotti – le chiesi se non avvertisse la contraddizione nel sostenere la spesa per i sistemi di sicurezza, lei, una donna di sinistra. Michelle Bachelet mi rispose sorridendo: “Prima di fare il ministro della Difesa sono stata ministro della Sanità. E oggi chiedo soldi per la Difesa ancor più tranquillamente di quando li chiedevo per la salute. Lo ritengo uno dei principi fondanti dello Stato”.

Il ministro Pinotti dice che quella conversazione con Michelle Bachelet l’ha rasserenata, le ha chiarito molte cose. Il che, ovviamente, non le ha impedito di continuare a sostenere alcune delle precedenti convizioni: “Ho combattuto una battaglia perché le cluster bomb fossero considerate mine anti-uomo. E l’ho vinta. Accettare l’esistenza delle armi non significa farsele andare bene sempre e comunque”.
Il fatto che cinque donne guidino i dicasteri della Difesa in Svezia, Norvegia, Olanda, Germania e ora Italia non può essere considerato casuale. Già ci si interroga, infatti su come le loro scelte influenzeranno le politiche della difesa europea. Ursula von der Leyen, per dire, passata dal ministero del Lavoro alla Difesa su sua richiesta, ha già preso le distanze dalle posizioni del predecessore che non aveva voluto coinvolgere la Germania nelle operazioni in Libia. Di recente von der Leyen ha detto a Der Spiegel che “con la globalizzazione i conflitti lontani sono ora molto più vicini all’Europa” e alla conferenza sulla sicurezza svoltasi a Monaco di Baviera ha rafforzato il concetto:”L’indifferenza non è un’opzione per la Germania”.

Un attivismo condiviso anche dalla collega ministra della Difesa olandese, favorevole, ha scritto il britannico Guardian, a un maggiore interventismo europeo sui fronti internazionali.
Di Europa, e della Nato, si è molto occupata anche il neo ministro degli Esteri Federica Mogherini. Terza donna italiana alla Farnesina dopo Susanna Agnelli ed Emma Bonino, è, per quel che ne so, il primo ministro degli Esteri provvisto di un blog. L’ultimo post risale al 23 febbraio: “Qualcosa è cambiato, dall’ultima volta che ho scritto – si legge – Una grande responsabilità, un po’ d’emozione, la consapevolezza dell’enormità dell’impresa”.

Ecco, se dovessi scegliere un aggettivo comune per tre donne in fondo diverse per età, collocazione geografica (una ligure, una toscana, una romana) e storie, sceglierei l’aggettivo “consapevole”. A leggere la loro storia di persone con un percorso normale, gli studi, la famiglia (sono tutte e tre madri, con due figli a testa), la dedizione al lavoro da vere prime delle classe, mi pare si possa dire che sono donne solide. Non sottovalutano il compito che le attende. E nemmeno le aspettative che gravano sul governo di cui fanno parte.

Maria Latella, per il mensile Airpress


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