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Se lo sviluppo dimentica gli autonomi e le donne

“Management è fare le cose bene. Leadership è fare la cosa giusta”
(Peter Drucker)

Tremilionitrecentosessantanovemila. È il numero, impressionante, dei “dimenticati del jobs act”, professionisti e lavoratori autonomi che, semplicemente, sono rimasti totalmente fuori da tutti i provvedimenti proposti dal Governo in tema di detrazioni fiscali e altri strumenti di sostegno al reddito.

Un numero impressionante fatto di lavoratori che non godono certo di redditi medi alti. I professionisti iscritti alla gestione separata Inps, ad esempio, hanno un reddito tra i più bassi in assoluto. E visto che oltre al danno c’è spesso anche la beffa, i contributi previdenziali loro richiesti hanno anche iniziato ad aumentare (e continueranno a farlo) per alimentare quella vera e propria gallina dalle uova d’oro che è l’Inps 2.

Allo stesso modo, professionisti e partite Iva continueranno a non godere di alcuna forma di ammortizzatore sociale, il che alimenterà ulteriormente quel “precariato del terzo millennio”, che penalizza sia i lavoratori professionalmente più deboli, sia i knowledge workers, sulle cui competenze invece occorrerebbe puntare e investire.

Se questo è il quadro generale, non si può non notare come in tale disegno le donne siano le più svantaggiate tra gli svantaggiati. E non solo per quello che non c’è – incentivi fiscali e ammortizzatori sociali per le lavoratrici autonome, norme più stringenti sulla maternità per le subordinate e, più in generale, politiche di conciliazione – ma anche, e forse soprattutto, per quello che c’è.

Le nuove norme sui rinnovi contrattuali, con la possibilità per un triennio di licenziare al di fuori della giusta causa, rischiano infatti di comportare una vera e propria ecatombe di lavoratrici; un sistema del genere appare un ottimo sistema per mandare via le donne, evitando il rischio di dover sostenere i costi legati alla maternità delle lavoratrici.

E questo è un comportamento di miopia colossale, al di là di ogni discorso sulla “giustizia di genere”, per un Paese che voglia tornare a crescere. Tutte le analisi concordano infatti nel dimostrare come le donne sul lavoro ottengano risultati migliori degli uomini, ma nel loro percorso di crescita professionale abbiano una fase “piatta” coincidente con il periodo della maternità. Un sistema efficiente lavorerebbe per eliminare, o almeno abbreviare, quella fase, non per prolungarla tendenzialmente all’infinito.

La buona notizia è che i provvedimenti di cui si parla sono ancora in fase progettuale. L’auspicio è che il dibattito che si è aperto possa portare i decisori politici a includere nel loro disegno di sviluppo i lavoratori autonomi e, soprattutto, le donne. A beneficiarne sarebbero non solo loro, ma l’intera economia italiana.

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