“La Cina è un Paese molto più ricco di tutte le contrade d’Europa”, scriveva Adam Smith nel 1776. La Cina e l’India, le due voci più importanti del cosiddetto “Secolo asiatico”, fino alla prima metà del Diciannovesimo secolo totalizzavano circa la metà del Pil mondiale. Nel 1750 le regioni corrispondenti alla Cina e all’India odierne raggiungevano il 60% della produzione manifatturiera globale. L’India dominava incontrastata il mercato del cotone e l’industria tessile, mentre la Cina doveva la sua importanza alla forte produttività nei settori agricolo, industriale e commerciale, senza dimenticare la posizione dominante nel mercato dell’oppio, nel quale a fine ‘800 divenne “il cuore della produzione mondiale”.
I RAPPORTI TRA INDIA E CINA
Entrambe in rapida espansione, entrambe alla ricerca di maggior influenza regionale, entrambe concorrenti in ambito energetico ed alimentare, India e Cina intendono riprendere il filo dei rapporti amichevoli intrattenuti durante gli anni Cinquanta, celebrando quest’anno il sessantesimo anniversario dei Cinque Principi della Coesistenza Pacifica, elaborati da Jawaharlal Nehru e declinati in una serie di accordi firmati dai due Paesi nel 1954. I cinque principi regolano le relazioni bilaterali e comprendono il rispetto per l’integrità territoriale; la non aggressione reciproca; la non interferenza negli affari interni; uguaglianza e benefici comuni; coesistenza pacifica.
L’INDIA CAMBIA PROSPETTIVA
L’esigenza di rilanciare uno schema di coesistenza pacifica è avvertita da ambo le parti, ma è soprattutto l’India ad aver cambiato prospettiva. Fino a tempi recenti, al Ministero degli Esteri indiano il pensiero comune era il seguente: sia l’India che la Cina sono convinte di essere dalla parte giusta della Storia; non possono avere entrambe ragione. Ora, invece, la visione indiana sta lentamente cambiando. Sebbene i punti di contrasto siano notevoli e di carattere permanente (dalla disputa di confine, ritornata di attualità con le schermaglie degli ultimi mesi, alla deviazione del corso dei fiumi ad opera cinese, dalla questione tibetana alla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), Nuova Delhi e Pechino devono necessariamente imparare a coesistere, facendo leva sugli interessi comuni: dal contrasto del terrorismo internazionale all’intensificazione del commercio e bilaterale e regionale.
COSA CHIEDE L’INDIA ALLA CINA
Già nel dicembre 2009, l’ex Ambasciatore indiano in Cina S. Jaishankar tenne un discorso molto significativo all’Institute for South Asian Studies di Shichuan: “Cosa chiediamo alla Cina? Comprensione per le questioni che più stanno a cuore agli indiani, accettando il fatto che non possiamo essere d’accordo su ogni punto”. L’Ambasciatore affermò che la crescita economica della Cina è stata “una forte fonte di ispirazione per le riforme ed il cambiamento anche per l’India stessa” e volle rassicurare Pechino sulle intenzioni indiane: “Stiamo vedendo la crescita della Cina e dell’India in maniera dicotomica, parallela e non congruente; ciò rende una relazione bilaterale già complessa ancor più complicata […] Che ci piaccia o meno, India e Cina avranno senza dubbio sempre più a che fare l’un l’altra. Non solo saremo più grandi in termini assoluti, ma entrambi avremo una maggiore presenza globale. Il passato, dunque, non può servirci da guida per il futuro.”
Il 2014 è stato dichiarato l’”anno dell’amicizia”, con l’obiettivo di “aumentare la comprensione e la cooperazione tra questi due grandi Paesi”. Comunicati ufficiali a parte, il buon andamento dei rapporti tra India e Cina è un imperativo non solo per la prosperità asiatica, ma anche per il mantenimento della pace e sicurezza internazionale con implicazioni che vanno ben oltre il Golfo del Bengala o il Mar Cinese.
Emanuele Schibotto, Direttore editoriale del centro studi di relazioni internazionali Equilibri.net
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