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Chicco Testa: perché non posso non dirmi renziano

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli a Chicco Testa apparsa su Italia Oggi.

Negli anni ’80 era un ambientalista antemarcia, tanto da fondare Legambiente, di cui fu segretario. Oggi Enrico Testa, bergamasco, classe 1952, «Chicco» per la politica che ha frequentato fin da giovanissimo, studiando filosofia alla Statale di Milano, oggi Testa, dicevamo, è spesso un critico severo di tante posizioni che, dietro il pretesto ecologista, rappresentano l’antimodernismo tout-court.

Ma Testa ha anche vissuto una lunga stagione nella sinistra storica, essendo stato parlamentare del Pci e poi nel Pds, dal 1987 al 1994.

Ed è stato presidente dell’Enel negli anni d’oro delle privatizzazioni, dal 1996 al 2002, e membro del consiglio di amministrazione di Wind. Durante la sua presidenza, Enel è stata parzialmente privatizzata con una offerta pubblica inziale di 15 miliardi di euro ed è stata fondata Wind, terzo operatore mobile italiano.

Domanda. Partiamo proprio dalle sue radici politiche a sinistra: oggi il partito che ne è erede, il Pd, è guidato da un leader riformista, che è anche a capo del governo, e che vede il coagulo opposto della sinistra interna. Che ne pensa?

Risposta. Matteo Renzi è un grandissimo semplificatore. Rispetto agli arzigogoli della politica italiana, dico. Problemi come i tagli alla spesa pubblica, la riforma del lavoro, la burocrazia, li ha presi per le corna. E lo ha fatto in modo molto politicamente scorretto.

D. Per un certo Pd, uno sconquasso…

R. È un partito abituato a un linguaggio bizantino, ai passi felpati e a cui Renzi dà scosse culturali fortissime. E non è finita. Non siamo arrivati fino in fondo, ci sono ancora tabù non demoliti.

D. Per esempio?

R. Sulla giustizia siamo all’inizio e con segnali interessanti, come la scelta del magistrato Giovanni Fiandaca per le prossime europee e, prima ancora, quella di Andrea Orlando come Guardasigilli, visto che da responsabile giustizia del suo partito si era pronunciato a favore della separazione delle carriere.

D. Dunque, bene Renzi?

R. Con gli amici, scherzando, dico che è come l’arrivo della tv a colori quando c’era solo il bianco e nero. Spero che continui quest’opera di demolizione, perché dobbiamo parlare con estrema verità, dicendo che questo Paese non vive più la situazione di cinque-sei anni fa, che bisogna assicurare la crescita, che bisogna superare «lacci e lacciuoli», come ha detto il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, citando un suo illustre predecessore: Paolo Baffi.

D. Queste manovre antirenziane della sinistra interna, con Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema su tutti, sono un pericolo reale o riflessi pavloviane al cambiamento? Peraltro gran parte dei gruppi parlamentari sembra rispondere alle vecchie logiche…

R. I parlamentari hanno però, in genere, anche un buon istinto di sopravvivenza e quindi penso che alla fine, se vorranno continuare il proprio lavoro in un’altra legislatura, s’adegueranno. In tutti questi signori che lei citava, che sono miei vecchi amici, vedo una difficoltà a elaborare il lutto: avevano la moglie in casa ed è sparita, ma non è morta, si è innamorata di una altro, è quasi impossibile ammetterlo. Il 20 per cento avuto da Gianni Cuperlo al congresso sta lì a dimostrarlo: è la fine di una predominanza di una certa tradizione politica e niente potrà tornare come prima, ma loro fanno fatica ad accettarlo.

D. I giovani turchi, come Matteo Orfini, han fatto però un passo indietro…

R. Non escludo che ci sia un certo tasso di opportunismo, ma certamente loro si sono resi conto di quel che sta accadendo. Se noi… mi scusi, mi sento ancora parte, se il Pd avesse affrontato le europee con un leader Cuperlo, sarebbe stato un massacro. Invece hanno avuto la fortuna di trovare un uomo che parla agli elettori democratici ma anche a quelli grillini e di Silvio Berlusconi: dovrebbero fargli un monumento, anziché mettergli continuamente i bastoni fra le ruote.

D. Su Twitter mi capita spesso di leggere i suoi interventi sui grillini, piuttosto decisi. Ricambiato ruvidamente. Che cosa pensa di questo movimento?

R. I grillini non hanno nessun futuro: sono portatori di un’ideologia confusa e contraddittoria, destinata a esplodere.

D. Tutto e il suo contrario, lei dice?

R. C’è innanzitutto il desiderio di raccogliere tutto quello che c’è di protesta. Poi vogliono sempre rafforzare i poteri dello Stato ma anche abolire Equitalia, sono un po’ leghisti, un po’ comunisti e c’è pure un filone libertario e ribellista ma, d’altro canto, c’è una connotazione forcaiola e ipergiustizialista. Sull’immigrazione sono a volte partito d’ordine, a volte relativisti e umanitaristi. Senza un set coerente di idee, però, un partito non può governare.

 D. Ne prevede la disgregazione…

R. Sì e non solo per problemi disciplinari, come accaduto finora, a causa di quella democrazia da setta che praticano, con lo strapotere di uno o di due, ma la questione sarà appunto l’impazzimento di tutte queste posizioni, contrapposte e inconciliabili.

D. Il M5s è saldamente presente in tutti le proteste contro le grandi opere, e nelle mobilitazioni Nimby, not in my back yard, «non nel mio cortile», cui lei è molto attento…

R. Ennesima contraddizione.Vogliono creare lavoro, ma impediscono qualsiasi investimento, si oppongono a qualsiasi cosa, supermercati, treni veloci…

D. Non ci sono solo i grillini, però in questo vasto fenomeno…

R. Sì e resta una follia, una contraddizione gigantesca per questo paese e questo momento storico: abbiamo un bisogno enorme di crescita, in tv mostriamo gli effetti della crisi, si parla di chi non arriva alla fine della settimana anziché del mese, ma poi ci si oppone a qualsiasi forma di investimento pubblica e privato.Siamo un paese chiuso su se stesso, egoista, che difende i propri privilegi, e che ha importato in maniera pedissequa tutte le ubbie di questo mondo.

D. Per esempio?

R. Stavo leggendo una sentenza del Tar contro la Medoil, per le trivellazioni in Abruzzo. I giudici hanno accolto i ricorsi contrari, malgrado ci fosse correttamente la valutazione di impatto ambientale, invocando il principio di precauzione. Si tratta di un vero e proprio totem ormai, del tipo «mi devi assicurare che qualsiasi cosa tu faccia, di qui ai prossimi mille anni, non avrà conseguenze negative». Capisce? Se ragionassimo così, in termini pratici, non potremmo uscire di casa al mattino, se dovessimo pensare al rischio di cadere nella doccia, di essere investiti da un’automobile, di mangiare roba non sana.

D. Il metodo scientifico accantonato…

R. Certo, il metodo della riproducibilità nel tempo degli stessi fenomeni, con regolarità, viene superato da domande di natura metafisica.

D. Che ne è dell’ambientalismo, cui lei ha dato impulso negli anni ’80?

R. Quello politico in senso stretto mi pare tramontato in maniera definitiva. Alle europee i Verdi prenderanno pochi punti percentuali, se gli va bene. C’è però un ambientalismo più realista che è riuscito a condizionare vari partiti, come dimostra l’esperienza degli animalisti che sono in Fi e che ora faranno una loro lista.

D. E fuori dalla politica?

R. Complessivamente mi pare prevalga un atteggiamento manicheo e poco pragmatico: tutti dicono «green economy», economia verde, cosa meravigliosa, siamo d’accordo, ma ci vuole anche un po’ di tecnologia, di industria, di manifattura. E tutti si compiacciono del fatto che, tra i nostri successi nell’export, ci sia anche il settore alimentare. Fortunatamente, negli altri paesi, non hanno la liturgia del «chilometro zero», perché sennò, dovremmo berci tutto il vino e il cibo che produciamo. Eataly è una splendida storia di successo «non a chilometro zero», visto che esporta in tutto il mondo.

D. Che lezione se ne trae?

R. Che continuiamo a berci slogan che non vogliono dir di nulla. Verdura dell’orto e frutta di stagione, sì d’accordo. E perché non posso mangiare il prosciutto spagnolo e bere il vino della California? Quando partimmo con Legambiente eravamo convinti che la leva principale fosse quella di nuove tecnologie non inquinanti che sostituissero le vecchie. Oggi mi pare che ne sia rimasto poco e combinato con elementi di luddismo.

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