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Contro il manifesto giacobino di Zagrebelsky. Parla Pellicani

Non c’è solo il manifesto “Verso la svolta autoritaria” firmato da Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà e altri insigni giuristi di cui si parla da giorni. Da oggi c’è anche un contromanifesto che smonta toni e contenuti del primo, promosso da un gruppo di intellettuali liberali composto dal filosofo Giuseppe Bedeschi, dallo storico Giampietro Berti e dal politologo Dino Cofrancesco.

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Tra i primi firmatari, oltre a Piero Ostellino e Florindo Rubbettino, c’è anche Luciano Pellicani, professore di Sociologia politica alla Luiss, che spiega a Formiche.net la prima cosa inaccettabile del documento di Libertà e giustizia: “Sembra una scomunica. Viene usato un tono aggressivo, intimidatorio da parte di chi si dice liberale ma in realtà è giacobino”.

Secondo Pellicani, la proposta di Matteo Renzi che “ricordiamolo, è il segretario del Pd, e non il leader della destra conservatrice” va nella giusta direzione: “Affronta un tema sollevato da Giovanni Sartori sulla rivista Paradoxa: la democrazia acefala senza un capo. Dovremmo rifarci al modello britannico dove il premier può sciogliere il parlamento e destituire i ministri. E non mi sembra che nessuno parli di un sistema autoritario in Gran Bretagna”.

C’è poi il problema del bicameralismo perfetto, denunciato anche dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, “che paralizza le istituzioni – fa notare il politologo – e che in Gran Bretagna è stato risolto con una Camera dei Lord, intesa come camera di riflessione, che permette la seconda lettura e un periodo di sospensione delle leggi in esame”.

Zagrebelsky dice oggi a Repubblica che “è meglio abolire il Senato piuttosto che avere il pasticcio” proposto dal nuovo presidente del Consiglio. “Io non sono d’accordo – ribatte Pellicani – ma se ne può discutere, come si può discutere sul fatto che il Senato sia elettivo o meno. Ma è una vergogna accostare il disegno di Berlusconi a quello di Renzi, parlare di ‘democrazia plebiscitaria’ e di ‘svolta autoritaria’ come viene fatto in quel manifesto. Sono espressioni che avvelenano il dibattito che è giusto che ci sia su un tema così delicato e possono scatenare una guerra civile a sinistra”, conclude il professore.



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