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Decreto Poletti, tutti i dubbi e i problemi in uno studio Adapt

La Commissione lavoro della Camera voterà il decreto Poletti. Sono stati presentati circa 300 emendamenti, la maggior parte sulle modifiche in tema di contratto a termine. Uno dei problemi affrontato da alcuni di questi è il rapporto tra le novità del decreto e quanto previsto dai contratti collettivi nazionali. Questo rapporto non è sempre coerente e dà luogo a diversi dubbi interpretativi.

I due principali nodi da chiarire sono stati analizzati da un gruppo di ricercatori del centro studi ADAPT pubblicati in un Working paper dal titolo “La riforma del lavoro a termine alla prova della contrattazione”.

IL PRIMO PROBLEMA

Il primo dubbio riguarda il limite del 20% di contratti a termine. Questa clausola di contingentamento è prevista anche nella maggior parte dei CCNL, ma in quote diverse da contratto a contratto. Solamente 3 contratti collettivi (Bancari, Agenzie per il lavoro, Metalmeccanici) sui 15 considerati non prevedono clausole di contingentamento del lavoro a termine. Negli altri settori, il limite percentuale oscilla da un minimo del 7% (Elettrici) ad un massimo del 35% (Autotrasporti).

Questa dicotomia tra legge e contratti collettivi pone le imprese in una situazione di grande incertezza e difficoltà. Dovranno infatti riferirsi a quanto già previsto dagli accordi o basarsi sul contenuto del decreto Poletti?

La risposta di ADAPT è la prima. Infatti “considerata l’apertura della legge in favore della fonte pattizia, in assenza di previsioni contrarie, […] il rinvio deve considerarsi dinamico e quindi assorbe quanto definito dalle parti in sede negoziale precedentemente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 34/2014”. In questo modo la fonte contrattuale dovrebbe essere quella che indica quale clausola di contingentamento utilizzare.

IL SECONDO PROBLEMA

Il secondo problema, non indifferente, riguarda la presenza nei contratti collettivi di causali giustificative del ricorso al lavoro a tempo indeterminato. Queste causali, come noto, sono state eliminate dal recente decreto. E’ evidente che anche in questo caso legge e contratto sono divergenti e pongono alle imprese dubbi di difficile risoluzione.

In questo secondo caso le analisi dei ricercatori portano a dire che una legge non può cancellare quanto stabilito in un accordo tra le parti. Questo porterebbe ad alterare l’equilibrio tra le parti, raggiunto in sede negoziale.

I RISCHI

Come è facile intuire, in sede di conversione il decreto necessiterà di diversi miglioramenti. Il rischio è quello di produrre norme che avranno un impatto minimo a causa di quanto già previsto dai contratti collettivi. A ciò si aggiunga che un’azienda che volesse disapplicare il CCNL di riferimento rischia un contenzioso per inadempimento contrattuale e/o condotta antisindacale.

In attesa di vedere cosa accadrà oggi in Commissione, e di valutare l’impatti degli emendamenti, ci si deve augurare che i problemi sottolineati vengano presi seriamente in considerazione. Per evitare che il Jobs Act sia solo tanto rumore per nulla.

Francesco Seghezzi, ADAPT Research Fellow

 



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