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Def, vi spiego perché il motore della crescita lo può accendere solo Draghi

Il Governo Renzi sta cercando di fare del suo meglio: rispetta al meglio i vincoli europei e non si fa tentare dalla idea di portare il deficit di bilancio al tetto congiunturale del 3% del pil per evitare che l’Italia possa ricadere nella trappola della speculazione. Lo spread sul bund è ai minimi storici, ma l’economia non cresce: +0,8% nel 2014, rispetto al -1,9% dell’anno scorso.

IL DEBITO AUMENTA
Complice la bassa inflazione, il pil nominale segnerà appena un +1,7%. Nonostante si tenga fermo il deficit del bilancio al 2,6% del pil, ne consegue che il debito pubblico aumenta ancora. Il nuovo record è previsto nel 2014, a quota 134,9% del pil. Cresce così di altri 2,3 punti rispetto al record del 2013, quando abbiamo chiuso l’anno con il 132,6% di rapporto debito/pil. Per stabilizzare il rapporto debito pil servirebbe una crescita nominale del 3%, di cui due punti di inflazione ed almeno uno di aumento del pil reale.

PROMESSE VANE
Promesse vane, finora, quelle di abbattere il deficit ed il debito pubblico: tutte le previsioni dei Governi Monti e Letta sono state smentite.
Secondo il Def per il 2012, varato dal Governo Monti nell’aprile di quell’anno dopo le mazzate del “Salva-Italia” e le vane promesse del “Cresci-Italia”, il picco del debito pubblico sarebbe stato ormai alle nostre spalle, con il 123,1% del pil già raggiunto nel 2011. In prospettiva, il rapporto debito/pil sarebbe sceso, anno dopo anno, perché il risanamento strutturale delle finanza pubblica era stato compiuto. La cura da cavallo avrebbe abbattuto il debito: per il 2014 si prevedeva un rapporto sul pil pari ad appena il 114,4%. Ed invece è il pil ad essere crollato, a stramazzare è stata l’economia reale, prima con il -2,4% del 2012 e successivamente con il -1,9% del 2013.

LE PREVISIONI
Così, ad aprile scorso, l’ultimo atto del Governo Monti è stato il Def per il 2013: ancora una volta il picco del debito sarebbe stato alle nostre spalle, con il 130,4% raggiunto nel 2012. La nuova previsione di Monti per il 2014 lo dava ancora una volta in discesa, ma stavolta solo al 125,5% del pil: ben 11,1 punti in più rispetto alla previsione fatta un anno prima. Siamo così arrivati al Def approvato ieri dal Governo presieduto da Matteo Renzi, e scopriamo che il debito pubblico nel 2014 arriverà al 134,9% del pil: rispetto alla previsione fatta dal Governo Monti appena un anno fa, lo scarto è di altri 9,4 punti percentuali in più. Continuiamo ancora a a fabbricare più debito pubblico che pil.

TASSE NON IN AUMENTO
Il calo del debito pubblico si prevede sempre nell’anno che verrà: sembra quello della canzone di Lucio Dalla, in cui finalmente “sarà tre volte Natale”.
Il Governo Renzi ha evitato però una stretta fiscale ulteriore, quella che avrebbe dovuto portare a zero il deficit strutturale del bilancio pubblico nel 2015, rinviandola al 2016: sembrano inezie, visto che quest’anno siamo ancora al -0,3% sul pil rispetto alla richiesta della Commissione di ridurlo al -0,2/0,1%. Cifre in teoria ridicolmente basse, pari non più 3-5 miliardi di euro all’anno, ma ormai insostenibili.

IL FMI HA RAGIONE
Il Def 2014, approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri, non lascia quindi dubbi: hanno ragione il FMI e la sua Direttrice Christine Lagarde quando rimbrottano la Bce affinché adotti immediatamente politiche effettivamente espansive, in grado di allentare la morsa di austerità che sta facendo stramazzare l’Europa. Politiche di bilancio restrittive e politiche monetarie solo all’apparenza espansive, visto che il tasso di riferimento estremamente basso deciso dalla Bce senza la contemporanea creazione di base monetaria non ha effetti concreti sull’economia reale, fanno sì che l’intera Eurozona non riesca ad agganciare la ripresa mondiale né a partecipare alla espansione del commercio internazionale.

ITALIA IN AFFANNO
Se la Francia deve chiedere a Bruxelles la dilazione di un altro anno per rientrare sotto la soglia fatidica del rapporto deficit/pil al 3%, l’Italia si sta raggrinzendo nonostante abbia fatto i compiti a casa, un anno dopo l’altro: riscontra un livello di sotto occupazione, mai conosciuto in tempo di pace, che sta mettendo sotto stress non solo le istituzioni politiche nazionali quanto quelle comunitarie. Alle elezioni per il Parlamento europeo, a fine maggio, ne vedremo delle belle.

LA DOMANDA ESTERA…
Anche il traino della domanda estera rischia di essere una chimera, visto il cambio euro/dollaro così alto, la svalutazione dello yen pari al 30% in un anno e l’indebolmento del 3% dello yuan in appena tre mesi. Secono il Def, il commercio internazionale è cresciuto del 2,6% nel 2013, crescerebbe del 5% quest’anno e poi ancora del 5,9% nel 2015, per arrivare al +6% sia nel 2016 sia nel 2017. Ma l’export italiano è cresciuto solo del +0,1% nel 2013 e sarà davvero un miracolo se dovesse andar su del +4% quest’anno e del 4,4% il prossimo, come pure è previsto testo approvato dal Governo. Le esportazioni nette italiane, lo conferma la sintesi del quadro macroeconomico del Def, contribuiranno comunque ben poco alla crescita del nostro pil: appena il +0,5% quest’anno rispetto al + 0,8% del 2013, per calare ad appena il +0,2% nel 2015 e nel 2016. Nel 2017 e nel 2018 il contributo netto dell’export alla crescita del pil italiano sarà appena dello 0,1%: più che una inezia, un apporto neppure rilevabile dal punto di vista statistico.

…E QUELLA INTERNA
Spetterebbe invece alla domanda interna fare invece da traino, passando da un contributo netto negativo che è stato pari al -2,6% nel 2013 al +0,6% di quest’anno. Per invertire il trend, rispetto al -1,9% del pil nel 2013 ed arrivare ad un +0,8% quest’anno, ci si attende un contributo sostanzialmente pari a quello che dovrebbe derivare dalle esportazioni nette.

GLI EFFETTI SUL PIL
Gli effetti sul Pil delle riforme previste nel Def sono irrilevanti, almeno nel breve periodo, l’unico effettivamente misurabile: +0,1% dal taglio del cuneo fiscale, i famosi 80 euro al mese in busta paga; 0% dalla riduzione dell’Irap; 0% dalla revisione della tassazione delle rendite finanziarie; -0,1% dalla spending rewiew che bilancia il +0,1% degli 80 euro in busta paga; 0% dal pagamento dei debiti pregressi della PA; finalmente un +0,1% dalle liberalizzazioni e dalle semplificazioni già adottate con i decreti legge 27/2012, 352012 e 98/2013; +0,2% con la riforma del mercato del lavoro adottata con la legge 92/2012 e le modifiche apportate con il decreto legge 34/2014.

IL CONTRIBUTO ALLA CRESCITA
Il totale del contributo alla crescita del pil del complesso delle misure programmatiche è stimato in un +0,3% nel 2014. Sale al +0,8% l’anno successivo, per arrivare al +2,2% nel 2018. Intanto, però, le riforme contribuiscono a peggiorare il rapporto debito/pil: dello 0,5% nel 2014, dello 0,3% nel 2015 e dello 0,1% nel 2016. L’effetto positivo delle riforme si avrebbe solo nel 2017 e nel 2018, rispettivamente migliorando il rapporto debito/pil dello 0,2% e dello 0,6%.

Anche per il Governo Renzi, la strada delle riforme si dimostra scivolosa assai.



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