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Deoleo, benvenuti alla guerra dell’olio tra Italia e Spagna

Miguel Arias Cañete

In Spagna degli italiani non ne vogliono sapere. Secondo il quotidiano El Mundo, l’esperienza della lotta per Endesa, la compagnia-simbolo del settore elettrico spagnolo che è finita nelle mani dell’italiana Enel, è stata più che sufficiente. Per questo motivo la battaglia per l’impresa Deoleo, leader nella commercializzazione dell’olio, va oltre le olive dell’Andalusia. Forse anche per questo è stato preferito il fondo britannico CVC Capital Partners, piuttosto che il Fondo strategico italiano (Fsi), della Cassa depositi e prestiti. Ma il gioco non è ancora chiuso.

LA VENDITA DELLE AZIONI
Deoleo poteva essere controllata dall’Italia dopo la vendita del 31% delle azioni, prima proprietà di Bankia, BMN, Kutxabank e CaixaBank. Le due prime banche sono state costrette a cedere le azioni perché avevano ricevuto aiuti europei. JP Morgan è stata incaricata di scegliere le offerte dei cinque fondi di investimenti stranieri. Un reportage di Reuters España ricorda che il fondo statale italiano non è da solo ma sostenuto da capitali del Qatar. Nelle negoziazioni c’è un miliardario italo-americano, Robert Frank Agostinelli, fondatore e presidente del fondo di investimenti Rhône Group.

CONTRO L’IDENTITÀ SPAGNOLA
Il fondo CVC Capital Partners sembra avere le preferenze: ha offerto 0,38 euro per azioni, per cui dà all’impresa un valore di 493 milioni di euro, oltre all’aumento di capitale del 150 milioni di euro. “L’entrata del fondo CVC mette a rischio l’identità spagnola di Deoleo”, ha sostenuto un editoriale del quotidiano Abc. La decisione finale resta al consiglio, ma il vertice di Deoleo ha sostenuto che è stata la migliore offerta ricevuta. Per La Opinión de Málaga, l’offerta accettata da CVC rappresenta uno sconto del 10,58% del prezzo attuale delle azioni nel mercato.

GLI INTERESSI SPAGNOLI
La presenza italiana ha scatenato diverse polemiche perché l’Italia è il principale rivale della Spagna nel mercato dell’olio d’oliva. Il ministro dell’Agricoltura spagnolo, Miguel Arias Cañete, ha spiegato perché Deoleo è un’impresa strategica per la Spagna: “Il Paese ha sviluppato una coltivazione molto efficace e ha una capacità di produzione di circa due milioni di tonnellate, ma il mercato nazionale ha un limite, per cui la scommessa è l’esportazione”. Ha aggiunto che per accedere a questi mercati c’è bisogno di “imprese molto potenti” e “Deoleo è la prima che si è lanciata nell’esportazione”. Perderla sarebbe un grosso colpo per l’economica spagnola.

Nonostante il ministro ha insistito che non si è vietato l’accesso alla gara a nessuno, il consigliere della Giunta agricoltura, Elena Víboras, ha detto che si stavano facendo tutti gli sforzi “per mantenere il marchio spagnolo e andaluso”.

L’ITALIA IN SVANTAGGIO
Oggi un terzo della produzione dell’olio d’oliva spagnolo (che costa meno del made in Italy) arriva via mare in Italia per essere imbottigliato insieme all’olio di altri Paesi. Il Corriere della Sera di oggi ricorda oggi che “spinte dal credito facile, le imprese iberiche hanno comperato i marchi italiani. Sfruttando il crac Ferruzzi si sono portati a casa Carapelli. Con il crac Cirio, Bertolli. Primo e quarto marchio mondiale. Grazie al mezzo miliardo di debiti di Deoleo, l’olio spagnolo non deve più lasciare il Paese nelle navi cisterna, ma in bottiglia con etichetta italiana e a prezzo pieno. Ne guadagnano produttori e bilancia dei pagamenti. Spagnoli”.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha difeso il diritto dell’Italia entrare nella corsa per il controllo di Deoleo, con un trattamento imparziale rispetto alle firme straniere. “Ne parlerò con il mio amico Rajoy”, ha detto. Forse la guerra dell’olio tra Spagna e Italiana – sul piano politico – deve ancora cominciare.



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