“Renzi non può fare annunci blairiani e poi accettare leggi jospiniane”. La frase di Maurizio Sacconi rende bene l’idea dello scontro in atto sul decreto lavoro, con un Pd ancora condizionato dall’area più in sintonia con la Cgil e con il resto della maggioranza più renziana e polettiana dello stesso Pd. In più c’è la volontà del Nuovo Centrodestra di non essere percepito come troppo schiacciato sul Partito democratico e quindi gli alfaniani hanno colto l’occasione per caratterizzarsi. Vediamo che cosa è successo.
LO SCONTRO SACCONI-DAMIANO
Il testo del decreto era stato cambiato in commissione Lavoro, suscitando le proteste del Nuovo Centrodestra e di Scelta civica. Ieri, a poche ore dall’arrivo del testo in aula a Montecitorio, si è tenuto un vertice per provare una mediazione. Si fronteggiavano, tra gli altri, due ex ministri del Lavoro con passati molto diversi: Cesare Damiano (con Romano Prodi) e Maurizio Sacconi (con Silvio Berlusconi). Quest’ultimo ha portato sul tavolo alcune proposte di modifica. Il testo passato in Commissione prevedeva, come sanzione nel caso in cui l’azienda non rispettasse il limite del 20 per cento di contratti a tempo determinato, la trasformazione delle eccedenze in contratto a tempo indeterminato. Sacconi ha chiesto che la sanzione fosse invece solo pecuniaria. Altra richiesta di modifica: la formazione dell’apprendistato, prevista inizialmente come pubblica (delle Regioni), in pubblica o privata, a scelta del datore di lavoro. A queste due richieste si è aggiunta quella di Andrea Romano, Scelta civica, con l’impegno ad adottare il contratto unico di inserimento a tutele progressive. La risposta del Pd, per bocca del capogruppo Roberto Speranza, è stata: se volete quelle tre modifiche, dovete anche accettare di far scendere da 5 a 4 il numero massimo dei contratti a tempo determinato possibili in 36 mesi(erano già scesi da 8 a 5 in Commissione).
LA MEDIAZIONE DI POLETTI
Ieri Poletti ha tentato una mediazione. Ha proposto di attenuare la sanzione sui contratti a termine oltre il 20% dei dipendenti (multa anziché obbligo di assunzione), di rendere facoltativa la formazione pubblica e di rafforzare il richiamo alla necessità di introdurre il contratto di inserimento a tutele crescenti (che lo stesso governo propone, ma nel disegno di legge delega che accompagna il decreto). Damiano, però, ha chiesto di aggiungervi anche la riduzione da 5 a 4 del tetto alle proroghe e l’accordo è saltato.
CHE COSA SUCCEDERA’
“È probabile – scrive Enrico Marro del Corriere della Sera – che al Senato, dove il presidente della commissione Lavoro è Maurizio Sacconi, anche lui ex ministro ma di Ncd e dove il Pd non è così forte, il testo recepisca i cambiamenti suggeriti da Poletti ieri. E venga approvato con la fiducia per poi tornare a Montecitorio per l’ultimo voto, anche qui con la fiducia. Fiducie necessarie per farcela a convertire il decreto prima che, il 19 maggio, decada. E per evitare ulteriori modifiche che metterebbero in crisi la maggioranza”.