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Ecco qual è la vera secessione in atto nel Nordest

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Sergio Luciano apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Un teorema socio-economico, forse un po’ sofisticato ma suggestivo, che circola in Veneto afferma che la secessione «c’è già», a est di Desenzano. Una secessione di fatto, consistente nella lenta transumanza degli investimenti industriali verso la Carinzia, verso la Slovenia – una secessione scandita dalle chiusure delle imprese di chi non vuole più nuotare contro corrente e sa di poter vivere di rendita, tradendo lo stesso spirito imprenditoriale – quello decantato da Einaudi – che finora li aveva invece indotti a lavorare e produrre pur potendone fare a meno. Anche questa è secessione, effettivamente, ed è un fenomeno serio e drammatico, in atto silenziosamente nel nostro Nordest.

UN PARADOSSO

In verità, la grottesca faccenda dei 24 pseudo-secessionisti arrestati perché giocavano alla guerra è un paradosso: è, cioè, un pessimo servizio reso da questi «manipolisti» alla componente «sostenibile» delle istanze di autonomia che in parte sostengono la teoria secessionista. Sono istanze molto semplici. Così come l’Italia è «contributrice netta» dell’Unione europea – cioè versa più contributi di quanti ne riceva – il Veneto è contributore netto dell’Italia, cioè paga più tasse a Roma di quante risorse riceva. Questo squilibrio è la fonte del disagio e della protesta. I veneti non faranno mai la secessione, e anche il referendum promosso dal governatore Zaia è stato più che altro una manovra dimostrativa. Però nel riformare il titolo Quinto della Costituzione, le forze politiche più «centraliste» non devono commettere l’errore di pretendere un puro e semplice «indietro tutta» rispetto alla «devolution» che lo ispirò e alla realtà odierna, che descrive un federalismo incompleto, certo più dannoso che benefico.

UN MODELLO DA SUPERARE

Bisogna ridisegnare il perimetro dell’autonomia fiscale locale, non azzerarla. Il criterio delirante dei costi standard negli acquisti, ad esempio, per cui anziché tendere tutti al meglio si individuò una «media» tra i valori di chi sapeva comprare e quelli di chi sperperava è il modello da superare.

Spazio, e merito, vanno dati alle regioni virtuose, severità e traguardi vincolanti vanno imposti alle regioni incapaci. Solo con una maggiore «giustizia distributiva» lo Stato centrale potrà pretendere da tutti gli enti locali quella solidarietà che oggi viene imposta e subita come un’ingiustizia e una zavorra da molti veneti, da molti lombardi e anche da molti piemontesi. Altrimenti magari non ci sarà mai la secessione vera e propria, ma quella «di fatto» continuerà a indebolire il tessuto economico del nostro Paese, a minarne la competitività e tagliarne l’occupazione.


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