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Esercizi di retorica sul DEF: dal pareggio (di bilancio) allo spareggio

Il travestimento circa la natura del DEF comincia dal nome, come è giusto che sia in un esercizio di retorica.

Il Documento di economia e finanza, però, svela la sua vocazione autentica quando inizia a sostanziare i suoi effetti, manifestandoli. E sono eminentemente politici.

Nel nostro caso coincidono con la lettera del MEF a Bruxelles con la quale il governo chiede un anno di deroga per arrivare al pareggio del deficit strutturale.

Se ne è parlato in lungo e largo, evitando magari di sottolineare quanto sia convenzionale, e quindi discutibile, la definizione stessa di deficit strutturale alla quale dovremmo impiccarci. E si è anche ricordato che per rendere sostanziale tale deroga è servito un voto a maggioranza assoluta del nostro Parlamento, cui dovrà seguire il placet delle autorità europee. Le stesse che dovranno pronunciarsi molto presto sui nostri squilibri macroeconomici, già giudicati eccessivi e quindi forieri di ulteriori interferenze europee nelle nostre politiche fiscali.

Ecco perciò che un numero immaginario, il famoso disavanzo strutturale, diventa il fatto politico di rilievo che origina azioni politiche assai rilevanti.

Da Bruxelles si sono affrettati a rispondere alla lettera di Padoan che “valuteranno il percorso di rientro italiano”, come peraltro è scritto nelle stesse regole che chiediamo di derogare. Che significa tutto e niente. O soltanto che, come al solito siamo sorvegliati speciali.

Il caso italiano ha l’aggravante di avere tutti i numeri contro. Gli unici indicatori positivi sono l’avanzo primario, che però nell’immediato è previsto in calo, il livello di deficit, che rimarrà sotto il 3%, sempre nell’immediato, e il saldo del conto corrente, di recente tornato in attivo, che però sconta il previsto calo dell’export netto, che rischia di farci ripiombare nel deficit.

In questa situazione, le regole di bilancio, che molto opportunamente Bankitalia ha ricordato nella sua audizione sul DEF pesano come macigni.

Per chi non lo ricordasse, con l’approvazione in Costituzione, nel 2012, abbiamo accettato di avere regole di bilancio europee sull’indebitamento netto, la spesa pubblica e il debito. Il famoso fiscal compact di cui si fa grande uso nei talk show, sempre retoricamente in funzione di spauracchio.

La questione merita un approfondimento.

La regola dell’indebitamento netto implica che per i paesi non soggetti a procedura per disavanzo eccessivo (ne siamo usciti da poco) il famoso disavanzo strutturale debba essere inferiore o uguale all’obiettivo di medio termine (OMT) fissato per il paese. Se il disavanzo eccede tale obiettivo, deve essere ridotto di almeno dello 0,5% del Pil l’anno.

Per l’Italia l’OMT è il mitico pareggio di bilancio. “Nel 2014 – dice Bankitalia – gli andamenti tendenziali indicano una riduzione del disavanzo strutturale pari allo 0,2% del Pil. Sarebbe richiesto quindi un ulteriore aggiustamento di circa lo 0,3%”, per arrivare a un indebitamento strutturale pari a meno -o,1% del Pil nel 2015.

Ciò spiega perché il governo, adducendo le famose circostanze eccezionali (fra le altre cose il pagamento dei debiti della PA) ha chiesto la deroga, affiancandole un piano di rientro che prevede un aggiustamento strutturale del famoso disavanzo pari allo 0,5% del Pil nel 2015, anziché doversi fare carico di un aggiustamento dello 0,3% quest’anno. Parliamo di circa 4,5 miliardi. In sostanza si rimanda a domani quel si dovrebbe fare oggi, come peraltro noi italiani siamo maestri nel fare, sperando che la ripresa e la ventata riformista del governo dia una mano dal versante della crescita.

Su questa strategia, la Corte dei conti, che pure mostra di comprendere il momento, osserva che sarebbe buona norma fare le correzione (quindi i tagli) quando c’è la ripresa piuttosto che quando c’è crisi. Ma il momento, appunto, è topico.

Sostanzialmente ci stiamo giocando il tutto per tutto.

La regola della spesa prevede invece che per i paesi che non hanno ancora raggiunto il proprio OMT, quindi anche noi, la crescita annua della spesa pubblica, al netto delle componenti fuori dall’azione del governo (vai a capire come si calcolano), debba essere inferiore a quella di medio periodo del Pil potenziale (altra variabile immaginaria). L’entità dello scarto deve garantire un saldo strutturale di almeno lo 0,5% del Pil, con l’avvertenza che una crescita della spesa superiore non è interpretata come una violazione se è compensata da aumenti discrezionali delle entrate.

Che significa?

Ecco, già il fatto che qualcuno debba spiegarlo sostanzia il cuore del problema. Uno dei trucchi dei retori è spiazzare l’interlocutore con preposizioni astruse dall’aria seria e credibile. Apodittiche, si dice. E cosa c’è di più apodittico di un regola costitituzionale?

Bankitalia ci dice che “nel triennio 2011-13 la dinamica della spesa è stata ampiamente al di sotto del limite prescritto dalle regole europee. Per il triennio 2014-16, il limite superiore calcolato dalla Commissione per l’Italia è pari a -1,07 per cento in termini reali; nelle proiezioni elaborate dal Governo sotto l’ipotesi di invarianza delle politiche di bilancio, la dinamica della spesa sarebbe significativamente superiore”.

Ricordatevi queste parole: proiezioni, ipotesi di invarianza, sarebbe superiore, limite superiore calcolato (non sappiamo come). Come vedete nulla di reale: solo congetture. Ma terribilmente cogenti.

Forte di tanta apodittica indimostrabile, il novello retore (nel caso specifico la Commissione Ue, ma vale per l’economia applicata) detta la sua regola normativa. E quindi fa politica.

Provo a tradurre il commento di Bankitalia in parole comprensibili: prima non abbiamo sforato, ma sforeremo dopo, secondo quanto si può ipotizzare.

Il che ci mette nella difficile posizione di interlocutori poco credibili.

Screditare l’interlocutore è un altro caposaldo del dibattere retorico.

Attenzione: la regola della spesa vale solo se falliamo l’obbiettivo di medio termine, ossia sempre il solito pareggio.

Non finisce qui. C’è anche la regola del debito.

Il six pack prevede che nei paesi il cui il rapporto da debito e prodotto ecceda il 60%, tale differenza debba diminuire di un ventesimo l’anno nella media di un triennio. Per l’Italia, che era sottoposta a procedura di infrazione nel 2011, è stato previsto un periodo di tre anni di transizione dal momento in cui la procedura viene chiusa, ossia dal 2013.

“In tale periodo – spiega Bankitalia – la regola del debito si ritiene soddisfatta se lo stato membro consegue una riduzione annua minima del disavanzo strutturale (minimum linear structural adjustement, MLSA) calcolata dalla Commissione UE”.

Ricordo a tutti che il disavanzo strutturale è una variabile che la Corte dei Conti ha definito impossibile da osservare. E sottolineo che, ancora una volta la commissione calcola (non sappiamo come) un dato che diventa un obiettivo politico.

Ebbene, “lo scorso novembre – dice Bankitalia – la Commissione ha indicato che il MLSA per l’Italia è definito da una riduzione del disavanzo strutturale (sempre lui, ndr) di almeno 1,32 punti percentuali del PIL nel complesso del biennio 2014-15. La riduzione prevista nel DEF è di 0,7 punti. Va rilevato tuttavia che la Commissione potrebbe rivedere al ribasso l’MLSA tenendo conto degli introiti delle dismissioni programmate”.

Notate la finezza: 1,32% del Pil. Chi dubiterebbe dell’accuratezza del calcolo a questo livello di dettaglio?

Un altro espediente del retore è far credere che le sue informazioni siano sempre accurate.

Comunque, stando a quanto dice Bankitalia, siamo fuori anche dalla regola anche nel periodo di transizione.

E dopo? “La regola dovrà essere rispettata con riferimento alla variazione del debito nel triennio 2013-15 (versione backward looking, con e senza correzione per l’impatto del ciclo economico) oppure nel triennio 2015-17 (versione forward looking). Il quadro programmatico del DEF rispetta la regola sul debito nella versione forward looking. Se gli andamenti macroeconomici dovessero discostarsi, anche di poco, dalle previsioni contenute nel DEF, o se non si realizzassero integralmente le dismissioni programmate, il rispetto della regola sarebbe messo a repentaglio”.

Insomma: rischiamo di fare un altro botto.

“Le regole di bilancio europee – conclude comprensiva Bankitalia – possono apparire complesse e, pur con i loro margini di flessibilità, stringenti, ma esse rispondono all’esigenza di assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e ricondurle all’equilibrio. Occorre inoltre ricordare che esse appaiono oggi vincolanti anche perché abbiamo lasciato crescere in passato, senza sufficiente controllo, la spesa e il debito pubblico”.

Anche qui, appartiene al discorrere retorico trovare sempre una morale nella storiella.

Poiché sono appassionato di retorica, l’avrete capito, ovvero di quello che gli antichi chiamavano l’arte del discorrere e del persuadere, ho pensato di sintetizzare questa noiosa cavalcata fra le regole europee sulla finanza pubblica trasformandola in un’altra storiella, che sarà magari meno istruttiva, ma certamente non meno realistica di quella che ci ha raccontato Bankitalia.

Un bel giorno in Italia, squadra con evidenti difficoltà e a rischio retrocessione, arriva un nuovo capitano che, forte del suo giovanile entusiasmo e del desiderio di speranza dei suoi giocatori lancia il cuore oltre l’ostacolo e decide di giocarsi la sua partita della vita, che incidentalmente è anche la nostra.

La squadra del premier scende in campo contro la squadra avversaria, l’Europa, agguerritissima, composta da bomber stranieri, per lo più nordeuropei, temutissimi per la loro capacità di fare gol e grandi praticanti dell’astruso gioco a schemi.

Ma la strategia del premier spiazza l’avversario. Portato all’attacco da ali di folla speranzosa, il premier parte in contropiede e segna un spettacolare gol in rovesciata.

GOL: urla l’Italia. La speranza arride a molti, cui viene promesso una goleada.

Ma l’Europa ha dalla sua terribili regole di gioco, che prevedono che ogni giocatore non possa calpestare durante la corsa un valore presunto di fili d’erba superiore allo scarto medio quadratico del flusso tendenziale delle ricrescita prevista, e che, nel caso, debba rientrare precipitosamente in area seguendo il fischio dell’arbitro.

Che infatti fischia.

Il quarto uomo agita la bandierina, gli arbitri si riuniscono in conventicola, incuranti delle proteste del pubblico da casa, mentre i giocatori italiani assicurano che un loro personalissimo algoritmo assicurerà la ricrescita dell’erba nei tempi stabiliti. Ma molti osservano che la squadra italiana non è nuova a questi espedienti e che, dati alla mano, non è molto credibile.

La partita riprende con gli italiani impegnati a fare quello che fanno meglio: litigano fra loro. Così la squadra avversaria approfitta e affonda in campo.

Il temibile numero 10 dell’Europa, biondo e azzurro d’occhio, segna e chiude la partita in parità.

La squadra italiana festeggia: le hanno sempre detto che bastava il pareggio per salvarsi.

Ma invece viene fuori che c”è sempre dell’altro di cui dover tener conto, scritto in piccolo nel manuale delle regole di gioco.

Conclusione. Il salvataggio torna incerto. Il pareggio non basta.

Serve uno spareggio.


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