Skip to main content

I Concili? Scuole di libertà

«Se è vero che l’assemblea sperimentò in taluni (pochi) momenti degli interventi di Pio IX, d’altro canto è pur innegabile che fu lasciata alla minoranza un’ampia possibilità di esporre le proprie idee, alcune delle quali furono utilizzate per migliorare i documenti. Inoltre la presidenza operò sovente la politica della ricerca del maggior consenso possibile, appunto apportando modifiche ai testi per farli accettare anche ai padri insoddisfatti delle prime versioni, ed evitando di far approvare i testi a colpi di maggioranza, cosa del tutto possibile in quanto la più gran parte dei vescovi presenti all’assemblea era di sentimenti ultramontani, infallibilisti, o quanto meno assai lontani dalle perspettive dei padri facenti parte della minoranza».

Stiamo parlando del Concilio Vaticano I, tenutosi a Roma dal 1869 al 1870, e del processo che portò all’approvazione del dogma dell’infallibilità pontificia quando, ex cathedra, si pronuncia in materia di fede e di morale. Una lezione anche per l’oggi, se pensiamo anche alle varie fasi che hanno portato (o porteranno) alle grandi riforme, costituzionali e non, delle democrazie contemporanee.

L’APPROVAZIONE DELL’INFALLIBILITÀ PONTIFICIA: UNA LEZIONE ANCHE PER L’OGGI

Questo argomento è stato illustrato, con abbondanza di fonti bibliografiche ed archivistiche nel volume, a cura di Onorato Bucci ed Pierantonio Piatti, Storia dei concili ecumenici. Attori, canoni, eredità (Città Nuova, Roma 2014) dal prof. Carlo Pioppi, nel saggio intitolato Concilio Vaticano I, 1869-1870 (pp. 421-450).

La sua conclusone è diretta a smontare la tesi degli storici liberali e protestanti, per i quali la gestione dell’assise conciliare, da parte di Pio IX e dei cardinali di Curia, sia stata autoritaria ed unilaterale. Invece, come spiega Pioppi, «non si può affermare che vi sia stata una mancanza di libertà nei dibattiti e nelle votazioni. Non va del resto dimenticato che alcune decisioni furono prese per evitare un eccessivo prolungarsi dei dibattiti, tenendo presente che il numero dei partecipanti al concilio era assai grande» (p. 447).

PREPARAZIONE, CONVOCAZIONE E INAUGURAZIONE DEL VATICANO I

Nel saggio di Pioppi si spiega anche come la preparazione del Concilio Vaticano I fu a lungo organizzata e meditata. Durante il pontificato di Pio IX, infatti, l’idea della possibile convocazione di un concilio ecumenico prese consistenza fin dal 1849, quando il cardinale Luigi Lambruschini, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, aveva suggerito a Papa Mastai-Ferretti l’opportunità di un tale evento.
Effettivamente grandi e molteplici erano stati i cambiamenti avvenuti nella società rispetto al mondo in cui si era svolto il concilio di Trento: l’Ancien Régime era tramontato e, con esso, l’alleanza “fra trono e altare”. Come scrive Pioppi, in quegli anni, «si stavano imponendo in tutto l’orbe cristiano sistemi politici che s’ispiravano a un liberalismo spesse volte caratterizzato da un forte atteggiamento anticattolico, o quanto meno anticlericale; nel mondo della cultura, la fede cristiana doveva fare i conti con l’illuminismo settecentesco e con il positivismo che muoveva i suoi primi passi. D’altro canto in ambiente cattolico si era andata sviluppando la corrente ultramontana, che sosteneva l’utilità di una forte adesione alle direttive della Santa Sede in ogni ambito della vita ecclesiale. Tutto ciò faceva sentire in molti animi la necessità di un nuovo concilio» (p. 421).

Pio IX maturò lentamente questa idea finché, il 6 dicembre 1864, poco prima della pubblicazione dell’enciclica Quanta cura e del Sillabo contro gli errori del secolo, inviò una richiesta di parere ufficiosa sull’argomento a quindici cardinali. Le risposte giunsero entro la fine di gennaio 1865 e furono in gran maggioranza (13 contro 2) favorevoli.
Nel marzo 1865, Pio IX istituì dunque una Commissio Directrix Particularis Cardinalium de Concilio Celebrando, presieduta dal cardinale Costantino Patrizio Naro (1798-1876), che ebbe con il cardinale Vincenzo Santucci (1796-1861) un ruolo di primo piano anche nelle trattative diplomatiche per la tentata risoluzione della “Questione romana” (cfr. Pio IX e la Questione Romana. Atti del Convegno sul cardinal Vincenzo Santucci (1796-1861), a cura di Omar Ebrahime, con una Prefazione di Mons. Luigi Negri, D’Ettoris editori, II ed., Crotone 2012).

IL RICCO DIBATTITO DELLE COMMISSIONI PREPARATRICI

L’11 agosto 1867 la Commissione direttrice metteva dunque in cantiere le altre commissioni preparatorie: la Commissione per la disciplina ecclesiastica, la Commissione dei religiosi, la Commissione politico-ecclesiastica e la Commissione del cerimoniale. Furono quindi nominati gli esperti di questi organi: su un totale di 96 membri, 59 erano italiani, 13 tedeschi, 6 francesi, 5 spagnoli, 4 austriaci, 3 inglesi, uno russo, uno olandese, un svizzero, uno statunitense, uno guatemalteco, uno suddito dell’Impero Ottomano; tra questi periti si trovano anche celebri nomi del mondo culturale ecclesiastico del tempo, come Karl Joseph von Hefele, Franz Hettinger, Joseph Hergenröther (1824-1890) ed anche il filosofo e cardinale inglese John Henry Newman (1801-1890) fu invitato a lavorare come consultore, ma rifiutò.

Come sottolinea opportunamente Don Pioppi, «Il lavoro di queste commissioni fu una novità nella storia dei concili: probabilmente quest’attività di preparazione svolta a Roma fu dovuta al desiderio di non rendere oltremodo lunga l’assise conciliare, ma ebbe anche la conseguenza negativa di dare l’impressione, almeno in alcuni ambienti ecclesiastici dell’Europa centrale e settentrionale, che si volesse organizzare un concilio già “preconfezionato” nella Curia romana» (p. 422).

LE OPPOSIZIONI AL DOGMA, QUESTIONE DI PRETESTI

Altra conclusione di rilievo del saggio di Pioppi è la dimostrazione che le opposizioni al dogma proclamato dalla costituzione dogmatica Pastor Aeternus (sulla Chiesa di Cristo, approvata il 18 luglio 1870) furono dovute in parte alla ricerca di un qualsiasi pretesto per provocare un conflitto con la Chiesa, in parte a residui di regalismo e di giuseppinismo.
La validità delle tesi ed argomentazioni finora esposte deriva non solo dal metodo prettamente scientifico utilizzato nello studio ma anche dall’accreditamento degli studiosi coinvolti. Il principale curatore del volume Storia dei concili ecumenici. Attori, canoni, eredità, infatti, il prof. Onorato Bucci, Ordinario di Istituzioni di Diritto Romano presso l’Università degli Studi del Molise, è stato nominato da Benedetto XVI nel 2008 membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, mentre l’Autore del saggio sul Concilio Vaticano I, Don Carlo Pioppi, laureato in scienze politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è attualmente docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università della Santa Croce. Un libro per specialisti che meriterebbe di essere fatto conoscere anche al più largo pubblico.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter