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Ecco la Chiesa di Papa Francesco. Reportage dal Benin

Da Cotonou (Benin). 

Piove. Una pioggia fitta e costante come solo in certi Paesi succede.

Qui la pioggia è una benedizione, gli abitanti lasciano che scorra sul viso, sugli abiti, non esistono ombrelli. Camminiamo anche noi sotto la pioggia, fino alla Nunziatura Apostolica. Ho chiesto a sua Eccellenza Brian Udaigwe di ricevere e benedire i medici.

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Ecco la bandiera bianca e gialla della Santa Sede, da qualche mese ormai mi inorgoglisce come quella della mia Patria, e vederla sventolare qui dà il senso concreto alla parola “chiesa universale” che ho usato tutti questi mesi. È qui e testimoniare la missione della Chiesa nel mondo, del suo linguaggio unico che sa parlare di pace e di bene comune. Partecipiamo alla messa, in latino. Guardo i gesti del rito, in questa cappella dove mi sento a casa nonostante i 2500 km che mi dividono da essa.

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Dopo la messa il Nunzio ci accoglie, mi chiede come vanno le cose a Roma, ci sono le sue foto con Papa Francesco che l’ha mandato qui solo 9 mesi fa. I medici raccontano il loro impegno in Benin, combiniamo un incontro con l’arcivescovo di Cotonou per la prossima missione: aiuteranno Emergenza Sorrisi a trovare i bambini da operare e a trovare i fondi per poterlo fare.

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Ecco la Chiesa di Francesco, la chiesa raccontata nelle omelie di questo primo anno di pontificato. Quella con le “maniche rimboccate per aiutare i poveri”, quella che è “ospedale da campo”, quella chiesa che accoglie senza chiedere “quale Dio preghi” ma semplicemente ti mostra la grandezza di Gesù e la potenza del suo messaggio di pace. E lo fa con le opere, con le mani di questi medici che sono strumenti, come ci ha ricordato il Nunzio, per perpetuare il miracolo della solidarietà.

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Ha smesso di piovere… lasciamo la Nunziatura, il Nunzio mi ha detto che pregherà per noi, sento la sua mano come una coperta calda su questo pezzo di strada che sto facendo.

E siamo in ospedale, andiamo a trovare chi è stato operato ieri. Le madri per esprimere gratitudine baciano le mani dei dottori, i figli stanno bene, sorridono e per loro è la prima volta.
Iniziano le operazioni di oggi, ci sono anche io in Sala operatoria, fa freddo e l’odore mi ricorda qualcosa di lontano, non saprei dire cosa. La mente corre al mio sogno di fare il medico. Torno diciottenne e torno alla scelta di lasciare la facoltà di medicina, troppo costosa per me. Torno a quel sogno mai dimenticato ma ora so che se non ho potuto realizzarlo è perché per me Dio aveva un altro progetto…

Nonostante questo un po’ fa ancora male… Chissà se un giorno…

Arriva la prima paziente, 7 kg, il palato e le labbra completamente aperti, piange… , il visino sfigurato. La mamma la lascia alla dottoressa e la guarda negli occhi in una muta preghiera di avere cura della sua piccola. Aghi, tubi, fili, bisturi, le mani di Fabio il chirurgo sono un vortice, sono mani che stanno cambiando un destino, l’unica possibilità per questa vita inerme. L’operazione è finita, la piccola è quasi sveglia, la porto io nella stanza accanto. C’è la mamma che aspetta… E niente mi toglierà mai più dalla mente l’espressione sul volto di quella donna: è come se vedesse la figlia per la prima volta, il suo viso ora è perfetto, le labbra sono unite e distese. Lacrime calde le scendono, la sua bimba è nata una seconda volta.

Ed io sono qui e le mie lacrime si mischiano alle sue… Ho visto quanto grande sa essere il potere vivifico della gioia del dono. L’ho toccata, l’ho sentita.

Questa bimba ha un sorriso nuovo, un sorriso che è stato permesso da chi ha finanziato questa missione, da chi ha scelto di condividere quello che ha ricevuto con chi è meno fortunato.
I soldi… Quanto si fa per averne sempre di più in una corsa eterna come se nulla fosse abbastanza. E quanto poco si condivide. Eppure i soldi si fanno con i talenti ed i talenti sono doni che riceviamo e che poi tocca a noi saper far sì che portino frutto ed il bello dei doni è che si devono ricambiare.

Oggi ho sentito quanto è grande ricambiare il dono del talento mettendosi a servizio degli altri. È un cerchio magico che permette il perpetuarsi della vita, un ciclo che prima o poi si chiude.

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Ed a Roma tutto scorre, come sempre, lentamente e vorticosamente insieme. Leggo dalla posta elettronica e tremo al flusso di lavoro che mi aspetta quando torno. Ma ora so che sarà proprio in questo che porterò il bello di questi giorni. Parlerò di questo a chi decide, a chi ha responsabilità e forse convincerò qualcuno a venire nella prossima missione. Seminerò affinché qualcun altro possa raccogliere.

Ed ora c’è una farfalla sul pc mentre scrivo…

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