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Il peso della vita, il suicidio come liberazione

Un’altra tragedia, a Torino. Una ragazzina di 14 anni si è buttata giù dal balcone della sua casa. Era affetta da una malformazione cardiaca, forse causa anche della sua ridotta crescita. Si sentiva piccola e “mingherlina“. Sul social network usato dai teenager, Ask.fm, hanno trovato offese e insulti di altre ragazze, proprio per il suo aspetto fisico. Non ce l’ha fatta e per liberarsi ha sentito l’impulso di gettarsi nel vuoto.

Nell’articolo sopracitato è riportata un’altra vicenda, di pochi mesi fa, quella di Padova. La quattordicenne aveva più volte espresso il desiderio di uccidersi, e lo aveva fatto scrivendolo proprio sul social Ask.fm nella convinzione,forse, di trovare una consolazione. Invece, dalle indagini è emerso che alcuni addirittura l’hanno incitata a mettere in pratica queste oscure intenzioni. Lo stesso scenario di un’altra tragedia consumatasi l’anno scorso in Gran Bretagna, protagonista una quindicenne. Ma non ci siamo scordiamo delle altre terribili vicende che hanno coinvolto ragazzi che si sono tolti la vita “a causa” del loro essere omosessuali. Così il ragazzo di 15 anni di Roma nel 2012 e del 21 enne nel 2013; il ragazzo dai “pantaloni rosa“, come è passato alla cronaca e tanti altri.

Perché? Questa è la domanda che ci poniamo sempre davanti all’ignoto, è quella parola magica che ci spinge verso il futuro. Esprime la voglia di capire, di indagare e di trovare una spiegazione che possa anche solo minimamente lenire le nostre sofferenze, pur sapendo che trovare una risposta non ci farà riavere indietro niente.

Non credo si possa accusare un social network di queste morti. Non credo si possano dare colpe a nessuno di specifico. C’è un malessere diffuso, oggi, che viene sottovalutato. Colpisce proprio gli adolescenti, perché sono i soggetti più esposti alle intemperie della vita. Non tutti hanno un carattere forte e determinato, non tutti hanno la capacità di amarsi. Molti giovani sono preda della depressione, dell’ansia di vivere. Quando la vita è percepita come una tortura, una gabbia o un qualche cosa di opprimente, la morte è allora vista come la sola via di uscita praticabile.

Che un adolescente trovi nella morte la sola via di uscita possibile, mi travolge profondamente. Un simile risultato è un fallimento della nostra comunità. Come possiamo tollerare una simile cosa? Come possiamo tollerare che una vita ancora tutta da realizzarsi, venga spezzata in questo modo?

Siamo colpevoli, come collettività, di queste tragedie. La collettività è incapace di esprimere comprensione e accoglienza, è incapace di essere un “luogo” in cui vivere. Queste giovani vite non si sentivano accolte, non si sentivano parte di questa collettività. Si sono sentite escluse, allontanate e offese. Ad un grido di aiuto o siamo rimasti sordi o, come ha dimostrato il caso di Padova, addirittura alcuni sono stati complici e istigatori. Bisogna riprendere in mano la situazione, questa collettività deve rifondarsi, aprirsi e dimostrarsi capace di ascoltare e di interpretare queste forme di tormento e di malessere.

Spetta a tutti, istituzioni e singole persone, fare parte di questa rinascita. Non sottovalutiamo i segnali, seppur piccoli, seppur ambigui, che molti ci trasmettono con i loro pensieri, i loro messaggi e i loro silenzi. Non posso far a meno di pensare – e magari non è così – che se a quella ragazza qualcuno avesse risposto “no, la tua vita è tutto! Tu vai bene così come sei”, forse lei sarebbe ancora qua. Che se (con nomi di fantasia) a Mauro, Marco e Antonio, qualcuno avesse spiegato che essere omosessuali non è una colpa né una malattia, allora forse sarebbero ancora qua, a vivere la loro vita, con innamoramenti e delusioni, come ogni altra persona, e a rendere questo mondo un posto migliore.

Ogni buona parola taciuta, è un’occasione persa per aiutare qualcuno, che altro non aspetta che un po’ di attenzione, e magari anche solo un sorriso.

 

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