Il Comune di Pavia, leggo qui, rifiuta il lascito di circa 6000 libri. Volumi che vanno da Arbasino e Arpino fino a Zola, i classici come Dante, Petrarca e Boccaccio, la Commedia umana di Balzac in tre volumi, Pirandello, Saba e Ungaretti. E ancora Carver, Fante, Kafka e Joyce. Tra i Meridiani, per dire l’Opera Critica di Cesare Segre. Ma il Comune niente. Non li vuole. Non sa dove metterli e poi, insomma, la domanda di questi titoli è scarsa. E poi, dimenticavo, c’è il fatto logistico che avrà mandato in tilt l’ufficio tecnico del Comune. Trasportare 6000 libri costa, e mica poco. Figuriamoci poi leggerseli. O essersi letti! Sic.
E pensare che ieri sera su RaiMovie è stato mandato in onda “Il nome della Rosa”. Con frate Guglielmo che con l’umiltà del francescano e l’orgoglio di un Dell’Utri raggiunge un orgasmo ancora più grande di quello del povero Adso con la bellezza tutta cilena della ragazza senza nome, quando nella biblioteca trova il Beato di Liebana, nella versione con le note di Umberto da Bologna. – A nessuno dovrebbe essere vietato di consultare liberamente queste opere – .
Ma si sa il dubbio, quello che viene dalla seduzione della conoscenza, è nemico della fede e anche dell’essere pecoroni. E per ogni Guglielmo c’è sempre almeno un Bernardo. Dalle nostre parti, in verità anche di più. Bernardo che, oltre a quella di puntare il dito, hanno come principale occupazione quella di scriverli i libri anziché leggerli.
La biblioteca di Pavia rifiuta 6000 libri
Di