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La furbata delle nomine di Renzi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Riccardo Ruggeri apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Per chi, come me, studia i comportamenti organizzativi dei leader al potere, il momento delle nomine nelle aziende di Stato è bellissimo. Per i protocolli di analisi che ho disegnato e che seguo, Renzi è una miniera: parla moltissimo, usa metafore banali ma chiare, si lancia in promesse con grande sicumera, bisticcia coi suoi critici ancora prima che si esprimano dando loro dei gufi, fornisce la tempistica dei suoi disegni, addirittura sotto forma di cronogrammi, insomma mi facilita la raccolta delle informazioni: per un’analista secchione come me, un’autentica pacchia. Essendo poi un analista all’antica, non soggetto ad alcun coinvolgimento emotivo, il meccanismo di analisi, con lui, è semplice: prendere nota di tutto ciò che dice (documentazione cartacea e video, come fa FBI con i pentiti), poi verificare a posteriori ciò che fa in concreto rispetto a ciò che ha promesso. Elementare.

LE DICHIARAZIONI CHIAVE DEL PREMIER

Dal mio punto di vista, Renzi ha fatto alcune dichiarazioni chiave che mi consentiranno molto presto una valutazione oggettiva: a) «10 miliardi a 10 milioni di lavoratori (gli 80 ) e con coperture almeno doppie», vedremo come e se saranno una tantum o strutturali; b) «risparmiare 1 miliardo grazie all’eliminazione di Senato e Province». Le prime indicazioni appaiono molto lontane da queste promesse, ma non è qui la sede per parlarne, ci tornerò quando ci saranno dati precisi. Ora concentriamoci sulle nomine.

COSA STA PER SCATENARSI

L’atmosfera pre-nomine è quella del passato, i più scafati di noi percepiscono, come fanno i cani con i terremoti, che sta per scatenarsi la più clamorosa lottizzazione politico-familiare-elitaria, e non può essere diversamente quando lo Stato decide di impicciarsi di economia. Di nuovo c’è il protocollo Saccomanni, il «tetto» dei compensi e l’innovativo «parità di genere».

Criteri curiosi. Trattandosi di aziende sul mercato, quotate, bisognerebbe banalmente seguire i criteri che regolano da sempre questo mondo. Facciamo un esempio. Nel 2004 John Elkann ebbe l’intuizione di scegliere come Amministratore Delegato di Fiat uno dei suoi consiglieri di amministrazione, Sergio Marchionne. Avendo apprezzato le sue prestazioni professionali, non solo lo ha gratificato con stipendi, bonus, stock option molto importanti (i dati li trovate in rete), ma rinnovandogli l’incarico per ben 5 volte, per complessivi 15 anni, e nel 2018 probabilmente lo farà ancora. Nel business e nel management l’unico criterio logico è quello dei risultati. Elementare. Mi spiace per chi lo ha proposto ma il criterio «temporale» è idiota: nessun azionista degno di questo nome mai lo farebbe. Altrettanto idiota è il criterio di «tetto», non parliamo poi del coinvolgimento del povero Presidente della Repubblica, che sarebbe bene tenerlo fuori da questi problemi di bassa cucina politica.

Le aziende di stato quotate, o le si vende, oppure se le si tiene, le si gestisce come fanno i privati. E ognuna di queste è un caso a sé (personalmente considero l’Eni più importante del Ministero degli Esteri, ma ci torneremo).

CHI COMANDA NELLE AZIENDE DI STATO

Circa le cariche di vertice bisognerebbe spiegare ai cittadini che tutti i poteri sono dell’Amministratore Delegato, quelle del Presidente sono spesso di pura rappresentanza. Solo per quest’ultima posizione il criterio di genere può avere un significato, ma sostanzialmente appare come una furbata. Tutto ciò premesso mi sono messo in poltrona e ho ascoltato i nomi dei nuovi boiardi di stato. Di qui a giugno ci saranno oltre 300 nomine, una scorpacciata come non avveniva da oltre 10 anni. Nessun commento sui Presidenti (tutte donne) per i motivi detti sopra, sugli AD (tutti uomini), se non che il criterio di «genere» è stato rigorosamente rispettato, le donne maître, gli uomini chef. Prosit.

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