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La mappa ragionata degli avversari di Renzi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Goffredo Pistelli apparso su Italia Oggi

«Molti nemici, molto onore», diceva una massima fascista. Oggi il motto s’attaglierebbe bene a Matteo Renzi che, da Palazzo Chigi, vede, di giorno in giorno, allungarsi la schiera di quelli che lo vorrebbero ricacciato nella sua Firenze, fuori dall’orizzonte politico ma, soprattutto, fuori dalla stanza dei bottoni del potere italiano che, pur fra lacci e lacciuoli, rimane tale.

In meno di due mesi di governo, il premier è infatti riuscito, possibilmente, ad allargare la schiera dei suoi franchi o paludati oppositori. Vediamoli.

MINORANZA PD
Nel nuovo Correntone antirenziano, sulle ceneri di quel «tutti contro Renzi» che s’era formato l’anno scorso e dal quale s’erano inopinatamente sfilato Dario Franceschini con Piero Fassino e la loro Area Dem, ci sono un po’ tutti, vecchi e nuovi. C’è Pier Luigi Bersani, pienamente ristabilito, che salta da uno studio televisivo all’altro a dire come qualmente Renzi debba dire grazie a ogni passaggio parlamentare. C’è la lunga lista dei tanti che, da segretario, Bersani ha catapultato in Parlamento, grazie all’odiato Porcellum, in primis l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso. Né loro né i Giovani turchi di Matteo Orfini e Stefano Fassina s’accontentano dei ministri che Renzi ha concesso alle correnti, come Maurizio Martina e Andrea Orlando. E sono pronti a fare pollice verso alla prima occasione, meglio se nel segreto dell’urna. Sul Jobs Act, la guerra è stata praticamente dichiarata da Fassina che l’ha definito come «copiato dal piano di Renato Brunetta». Della minoranza fanno parte ovviamente anche gli ex-margheritini alla Beppe Fioroni, cui va ancora indigesta l’adesione al Pse, Rosy Bindi, letteralmente Renzi-foibica, ed Enrico Letta coi lettiani, che non hanno digerito lo sfratto da Palazzo Chigi e che sono sull’Aventino.

CONFINDUSTRIA
Giorgio Squinzi non è partito lancia in resta contro Renzi ma il suo è stato piuttosto uno stillicidio di dichiarazioni, ora sull’attitudine del premier a fare annunci, ora sui ponti d’oro che la Svizzera farebbe alla sua Mapei, ora sul racconto del clima vero che c’era stato nella visita berlinese del segretario Pd ad Angela Merkel. Squinzi, cooptato nella missione tedesca per una cena con gli imprenditori locali, e aveva prontamente precisato che l’incontro s’era svolto nella freddezza ostentata della cancelliera: «Non ci ha accolto con baci abbracci ed è stata molto austera». Il numero uno di Viale Astronomia è deluso perché avrebbe voluto che il taglio del cuneo fiscale fosse più spostato sui costi delle imprese che sull’Irpef dei lavoratori. Non piace poi, e non solo a Squinzi, la sepoltura della concertazione che si traduce in una perdita di potere secca. Infine uno così, mormorano nel sindacato degli industriali, metterà mano ai grassi contributi alle imprese: miliardi che a parole in Confindustria nessuno vuole ma che da tanti soci sono considerati fondamentali.

CGIL E SUSANNA CAMUSSO
La segretaria è una nemica storica del Rottamatore. Ce l’ha con lui da quando, da Palazzo Vecchio, dichiarò di preferirle Sergio Marchionne e poi di voler tener aperti i negozi per il 25 aprile e il 1 maggio, insulti alla memoria resistenziale e operaia secondo la sua visione. Il vertice dell’antirenzismo fu l’ostentato voto pro-Bersani alle primarie del 2012, ma si corse a precisare che l’aveva fatto «in quanto dirigente Pd». Il tema vero è che Renzi non ne vuol più sapere della concertazione e picconando il Cnel, sancta santorum sindacale, minaccia di mettere mano anche a un sistema su cui le organizzazioni si reggono economicamente, fatto di patronati e di enti di formazione. E anche quando Camusso ha dovuto ammettere che il premier aveva fatto qualcosa dalla parte dei lavoratori, come la riduzione Irpef, un attimo dopo c’è stato l’attacco sull’idea di allargare a tre anni il periodo di rinnovi contrattuali a termine. Intollerabile, poi, per Camusso che Renzi flirti con Maurizio Landini e la sua riottosa Fiom che vuol ridiscutere la rappresentanza in seno alla Cgil: un’alleanza contro-natura in cui la segretaria vede un chiaro attacco alla sua leadership. Nemmeno la recente firma di Landini all’appello contro le riforme di Libertà & Giustizia parrebbe averla rassicurata.

CENTRISTI
Dal Nuovo centrodestra di Angelino Alfano ai Popolari di Mario Mauro all’Udc di Pierferdinando Casini, tutta la grande-piccola famiglia del centrismo italiano vede il Rottamatore Pd come fumo negli occhi, pur governandoci assieme. Un istinto di sopravvivenza: già alle prossime europee, Renzi inizierà a prosciugare il voto di opinione contenuto nei loro pur striminziti elettorati. Il rischio è che restino in piedi solo gli apparati, fintanto dureranno i mandati elettorali di alcuni dirigenti.

FALCHI DI FORZA ITALIA
Spiazzati dalla docilità in cui il Capo, Silvio Berlusconi, s’era recato al Nazareno a firmare l’accordo sull’Italicum, da tempo masticano amaro. Se B., si può accontentare di aver un non-nemico a Palazzo Chigi, uno che non lo vuol vedere scotennato giudiziariamente ma che gli augura la pensione, loro, che sopravvivono politicamente solo se l’interminabile conflitto berlusconiano dura, vedono in Renzi non un nemico ma il Nemico. La fine dell’antiberlusconismo è tout-court la fine del berlusconismo e quindi la loro.

BEPPE GRILLO
Renzi a Palazzo Chigi era quanto di peggio potesse capitargli. Il Rottamatore parla il suo linguaggio dell’antipolitica, si rivolge alla gente, si fa capire da tutti. Promette rivoluzioni dolci che, per certi elettori cinque stelle, gente che aveva votato Grillo a febbraio di un anno fa, urticata dal Bersani-Berlusconi, sono più rassicuranti di tante pazzie stellari. La mossa del M5s di firmare l’appello di Libertà & Giustizia contro le riforme «autoritarie» del Senato e del Titolo V, cioè un’alleanza con un establishment intellettuale che odia il movimento, è una mossa che rischia di apparire disperata.

UNIVERSITA’
Renzi ha pestato i piedi all’accademia da tempo. Da presidente di provincia già tuonava contro «l’università sotto casa» e l’anno scorso aveva osato persino parlare di un progetto di investimento sugli «hub della ricerca», ossia una scommessa su alcun poche grandi università per farle competitive a livello internazionale. Allora si era tirato addosso il sarcasmo dei saccenti baroni-militanti che, oggi, vedendolo arrivare, hanno rapidamente mutano in sconcerto la loro supponenza. Il fatto che anche un archologo, come Salvatore Settis, e una filosofa, come Roberta De Monticelli, siano corsi a firmare l’appello di costituzionalisti su Libertà & Giustizia è figlio anche di questo sentimento diffuso.

(L’articolo completo si può leggere qui)

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