Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali
Con il rimpasto che ha portato alla nomina di Manuel Valls a capo del governo si è aperta una nuova fase nella vita politica francese scaturita dalle elezioni amministrative, che hanno coinvolto comuni o raggruppamenti intercomunali sempre più importanti nel panorama politico interno. Anche se la posta in gioco era locale, il risultato ha avuto rilevanza e ripercussioni notevoli a livello nazionale.
I francesi amano alternare. Tradizionalmente,durante le votazioni di mid term votano contro la squadra al potere. L’esito del voto non ha però solo una componente fisiologica, ma anche un significato politico non trascurabile.
VOLATA BLUE MARINE
Osservando che cosa è successo a destra, si notano subito alcune dinamiche locali di portata nazionale, come l’elezione di Alain Juppé a Bordeaux e quella di François Bayrou a Pau, due pesi massimi che, dopo la conferma ricevuta dalle urne, si affermano come candidati potenziali rispettivamente dell’Unione per un movimento popolare (Ump) e della formazione centrista Udi-Modem per le prossime presidenziali. La destra beneficia però soprattutto del crollo della sinistra.
Va inoltre sottolineata il successo del Front National-mouvement bleu marine, capeggiato da Marine Le Pen, la versione 2.0 del vecchio partito nazionalista, che si sta affermando come forza anti-sistema. È una formazione che registra una dinamica paragonabile a quella del M5S in Italia e sicuramente conterà nelle ormai prossime elezioni europee.
SCONFITTA DI HOLLANDE
La principale dinamica del voto va tuttavia cercata a sinistra. La maggioranza al governo registra un calo nettissimo che non riflette solo una generica voglia di alternanza, ma anche l’impopolarità della presidenza di François Hollande che non è riuscita a migliorare la situazione economica e sociale.
All’inizio del suo mandato, Hollande aveva scommesso su una gestione prudente, senza grossi cambiamenti degli equilibri politici o correzioni della politica fiscale, confidando in una ripresa economica che sperava potesse intervenire a rilanciare il suo quinquennio.
Hollande puntava poi a lasciare il segno su alcune questioni sociali – come la legge sul matrimonio gay – o di politica estera. L’attesa ripresa non è però giunta e l’opinione pubblica percepisce in modo molto acuto la crisi economica. Si ripropone lo scenario della precedente presidenza, quella di Nicolas Sarkozy, che era stata anch’essa azzoppata dalla crisi. Oggi l’attendismo di Hollande è criticato da tutte le parti.
Hollande si appoggiava a Jean-Marc Ayrault, un primo ministro alquanto dimesso e riservato, un po’ incolore, che ha di fatto lasciato il presidente solo di fronte al paese. La riforma costituzionale del 2000 ha accorciato il mandato del presidente da sette a cinque anni, la stessa durata della legislatura.
Prima, invece, lo sfasamento elettorale tra l’elezione del Parlamento e quella del Presidente dava maggiore autonomia sia al primo ministro che al presidente. Quest’ultimo, appena eletto, scioglieva l’Assemblée nationale, indicendo nuove elezioni. L’attuale parallelismo fra il mandato presidenziale e quello dei deputati ha ridotto l’importanza e l’autonomia del primo ministro. Ciò crea una situazione problematica anche dal punto di vista democratico e degli equilibri istituzionali, con un presidente che di fatto oltrepassa il suo mandato e governa senza poter essere censurato dal parlamento.
Dalle elezioni del 2002 in poi, il primo ministro francese tende ad assomigliare a un potente sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Una tendenza che si è accentuata con la scelta del mite Ayrault. Come Sarkozy prima di lui, Hollande si trova dunque direttamente esposto al malcontento popolare. Con il rimpasto di governo e la nomina di Valls, Hollande cerca ora di rilanciare la sua immagine. I margini di azione, e quindi di recupero, sono però limitati.
Jean-Pierre Darnis è professore associato all’università di Nizza e responsabile di ricerca dell’Area sicurezza e difesa dello IAI.