“Non trovare la colpa. Trova il rimedio”
(Henry Ford)
Le pagine dei giornali ci ricordano ogni giorno, con insistenza via via crescente, che a breve scatterà un grande valzer al vertice delle aziende pubbliche. Trecentocinquanta nomine, no 500, o forse addirittura 600, con grandi manager pronti a danzare tra energia e telecomunicazioni, poste e difesa. Quello di cui parlano le cronache sembra un enorme gioco di società, il cui fine pare essere indovinare chi piazzerà chi in quale casella.
Poco si parla, invece, del futuro di queste aziende, di come potranno meglio competere nei prossimi anni sul mercato interno e su quelli internazionali, della qualità di servizio che sapranno dare ai loro clienti. E in questo senso, le nomine che contano di più sono probabilmente quelle che verranno dopo, i direttori generali, i responsabili finanza, marketing e così via, di cui pure si comincia a parlare.
Nessuno parla però dei Chief Innovation Officer. E la cosa è normale, perché questa figura è largamente misconosciuta nelle aziende italiane, in modo particolare in quelle a controllo pubblico. Con una miopia che rasenta da molto vicino l’autolesionismo.
Chi è un CINO, cosa fa? Volendo semplificare, è il responsabile dell’innovazione e del cambiamento. Cambiamento nei modelli di business, cambiamento inteso come organizzazione di rete, cambiamento nell’utilizzo innovativo delle tecnologie, cambiamento nel modo di rapportarsi agli stakeholders e in quello di proporsi al mercato.
Cambiamento e innovazione come uniche risposte possibile a uno scenario economico in evoluzione ogni giorno più vorticosa e che nei prossimi anni sarà oggetto di una vera e propria rivoluzione.
Fino ad oggi le aziende italiane, private e pubbliche, hanno risposto ai mutamenti e alla competizione cercando di fare sempre meglio le cose che hanno sempre fatto, ottimizzando i processi, migliorando l’efficienza, razionalizzando i costi, perfezionando la distribuzione, ciascuno per la sua parte.
Ma tutto questo, nella rivoluzione perfetta che stiamo per vivere, non potrà bastare. C’è bisogno di manager che governino e che sappiano anticipare il cambiamento, ogni giorno. Soggetti con competenze a 360° che devono gestire in termini di innovazione sia l’efficienza e l’efficacia aziendale che l’equilibrio fra interesse particolare ed interesse generale. Un compito da veri e propri manager ibridi.
Non ce ne sono tanti in giro.