Commento pubblicato domenica 27 aprile su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi
E’ il giorno dei due Papi, anzi dei quattro: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che presto potremo anche chiamare Santi, e Francesco insieme con l’emerito Benedetto XVI, i celebranti. Basta questa circostanza, senza precedenti nella storia bimillenaria, profonda e pur ricca di sorprese della Chiesa, per cogliere l’importanza di un evento che ha già mobilitato più di un milione di pellegrini da tutto il mondo e decine di delegazioni di Stati.
Sarebbe un azzardo confrontare figure così diverse, che hanno rappresentato, oltretutto, periodi imparagonabili tra loro sia per i credenti, sia per l’universo sempre in bilico tra fede e secolarizzazione. Eppure, il destino, come cattolici e laici potrebbero concordemente definirlo, ha messo insieme Pontefici che si somigliano, e non poco. I Papi Roncalli e Wojtyla, che prima ancora delle gerarchie fu il popolo a proclamare “santi subito”, ebbero due virtù rare e dirompenti per il nostro tempo: il coraggio di cambiare e l’amore per gli altri. Furono innovatori e popolari, e sembra una contraddizione per una Chiesa che non può fare a meno di tradizione -quei riti e miti che si tramandano da secoli -, né di dottrina: il pensiero forte per attraversare epoche fragili, devastate da guerre, fame, malattie, ingiustizie.
Invece promuovendo il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII fu un rivoluzionario. Un rivoluzionario dal cuore tenero, non per caso ricordato da tutti come il “Papa buono”. Anche “il Papa polacco”, com’è citato con altrettanto calore il più contemporaneo Wojtyla, ebbe la forza visionaria di far cadere ogni muro. Dall’ultimo e ideologico che ancora incombeva sull’Europa, a quelli geografici d’ogni frontiera. Lui viaggiò ovunque per portare il messaggio di Cristo da testimone. Fino al martirio degli ultimi giorni: un inno di dolorante umanità.
Ma il destino ha voluto che a canonizzare quei due Papi così amati in Italia e nel mondo, fosse Francesco col concelebrante Benedetto. Anche qui c’è continuità nel cambiamento. Nel caso del timido Ratzinger continuità ideale e personale, se si pensa che lui fu il più influente collaboratore di Wojtyla. Nel caso dell’invece esuberante Francesco una continuità, per così dire, di pensiero e azione, se si osserva quanto il suo approccio fra la gente lo renda quasi l’erede moderno e naturale di entrambi i Giovanni che l’hanno preceduto.
Per questo il 27 aprile resterà data dal fortissimo significato non solo per i cattolici, ma anche per chi guarda a San Pietro con la speranza di ricavare insegnamenti. I Santi e i loro celebranti sono qualcosa in più. Sono un esempio.