Questo è un periodo a Roma che solo chi fa il mio lavoro può capire appieno. Fino a tre mesi fa c’era Enrico Letta e sembrava che la Centrale di Fies fosse sbarcata a Palazzo Chigi con tutti i pregi e i difetti di un gruppo che per 10 anni ha sognato quei 10 mesi.
Eravamo lì indecisi se dare del tu ai compagni di aperitivo ora ministri e costretti ad usare segretarie per appuntamenti che prima erano “ci vediamo al Locarlo” che tanto qualcuno lì con cui sognare di cambiare il mondo lo trovavi sempre.
Poi tutti contro tutti, cambio d’abito e d’animo al pit stop ed ecco Palazzo Vecchio trasferirsi a Palazzo Chigi. Da Fies a Firenze e lungo la strada siamo diventati tutti Renziani, o forse l’eravamo clandestinamente. E tutti con il fiato sospeso per i ministri, i consiglieri e sottosegratari. Altro valzer di amici e ti accorgi che un pezzo di cammino in Italia per strade diverse ma comunque parallele l’hanno fatto insieme solo 200/ 250 persone, renziani o lettiani.
E sono queste 200 persone che a vario titolo rappresentano l’industria, la politica, l’università, il sindacato, lo stato, la chiesa. E siamo tutti qua ad incontrarci fra di noi, siamo quelli che dicono che va bene purchè sia nuovo ma andiamo a pranzo “al moro” che va bene anche la mozzarella acida pur di farci vedere che siamo fra quei 200.
Andiamo a Chigi “a salutare e vedere la stanza” e si finisce a fare il totonomine “che vedrai che questo è sicuro che fa il presidente”. A che titolo poi…
E poi arriva Obama e tutti diventiamo americani che quasi ci trasferiamo da Piazza di Pietra al McDonald’s di Fontana di Trevi. E sogniamo e guardiamo avanti. La sera è il momento del confronto di giornate stanche, giornalisti a caccia dello scoop, comunicatori ingrassati dagli aperitivi di scenario, e capi agitati per la “poltrona” a cui rendere conto.
Terrazzi romani che solo nella “grande bellezza” sono stati descritti per il mistero che sono: luoghi dove si consuma il privato ed il pubblico di tanta gente, che del potere fa un bisogno di vita. E Poi questo Paese ha bisogno di qualcuno che dica che oltretevere va tutto bene, che siamo tutti all’ombra del cupolone per quanto possiamo professarci laici.
Ed io da qui il mondo lo vedo un pó diverso da 1 anno fa, ho imparato a fermarmi. Oggi il giardiniere che fa lo stemma del Pontefice sotto al Governatorato con i fiori stava sistemando gli spruzzini dell’irrigazione automatica, e fra i colori nuovi di una primavera inaspettata e precoce ho scelto di piantare l’irrigazione tornando ad un contatto con la terra che mi mancava da troppo tempo, in tutti i sensi.
E domenica vado in Benin, accompagno i medici a curare i bambini malati, ho fatto i vaccini e mi fa male il braccio, ecco perchè non dormo e penso. Allontanarsi da Roma adesso è quasi strapparsi ad un teatro a cielo aperto dove ogni giorno va in scena il più bello degli spettacoli, ed oggi sei l’attore e ieri eri a far la fila al botteghino.
Io scelgo il Benin e per tutto il resto, armata di Negroni, guardo e passo.
Commento estratto dalla pagina Facebook personale di Francesca Immacolata Chaouqui
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