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Nato, ecco che cosa non ha funzionato nella scelta del vertice

Pubblichiamo un articolo dell’Ispi

La scelta dell’ex primo ministro norvegese Stoltenberg per la guida della NATO ha frustrato l’aspirazione dell’Italia ad ottenere la carica di vertice della Alleanza dopo un intervallo di ben 43 anni.

LE BUONE RAGIONI DELL’ITALIA

La nostra rivendicazione era inoppugnabile. Siamo stati per decenni un Paese di spiegamento di armi nucleari, testimonianza suprema della solidarietà alleata, e abbiamo fornito con grande generosità basi operative all’Alleanza. Pur tra vivaci reazioni locali, stiamo consentendo agli USA la costruzione di un impianto radar in Sicilia, vitale per la loro rete di difesa globale. Con la progressiva trasformazione della Nato in organizzazione anche al servizio della sicurezza collettiva, l’Italia, con le sue Forze Armate rivelatesi straordinariamente efficaci nel Peace Keeping, si è distinta per contributi di alto valore. Siamo proiettati in un’area geografica di elevata instabilità e densa di rischi.

IL PRECEDENTE DI MARTINO

Che questo credito fosse riconosciuto era stato dimostrato dal fatto che la Segreteria Generale della NATO era stata offerta, prima che andasse a Rasmussen, all’allora ministro della Difesa Martino che aveva preferito declinare.

LA CANDIDATURA FRATTINI

La candidatura Frattini aveva la caratura e le caratteristiche necessarie per essere approvata. Un ex ministro degli Esteri, con esperienza consolidata, rispettato dai colleghi e dotato di quell’attitudine all’ascolto e alla ricerca del consenso che sembrava difettare a Rasmussen. Molte critiche si erano appuntate sul segretario generale uscente per un’interpretazione troppo assertiva del suo ruolo. Si era osservato da più parti che un ex primo ministro tende a portare la psicologia della sua passata funzione nell’esercizio di una carica che in primo luogo deve favorire il coagulo del consenso tra i paesi membri.

QUALCHE INGENEROSITA’

Nella nostra candidatura venivano talvolta additate due criticità. La prima, imputava a Frattini il fatto di essere stato il ministro degli Esteri dei governi Berlusconi. Di conseguenza, le malcelate antipatie che l’allora presidente del Consiglio aveva suscitato in alcuni leader occidentali, alcuni suoi scarti dalla tradizionale linea atlantica, ecc, ne avrebbero pregiudicato le chances di successo.
Il passato non si cancella e Frattini non poteva farlo, ma aveva rinunciato a candidarsi al Parlamento italiano per sottolineare il suo distacco dalle nostre vicende politiche. Se qualcuno, in ambienti contrari ad attribuire a un italiano la segreteria generale della NATO, ha adoperato questo argomento, è stato ingeneroso.

LA TEMPISTICA DIBATTUTA

La seconda pretesa debolezza prendeva di mira i tempi di presentazione della candidatura, ritenuti prematuri e tali da esporla al logoramento. In astratto, si può discettare a lungo sulle tattiche più appropriate in materia. Gli addetti ai lavori se ne deliziano. In concreto, allorché è stato deciso di candidare Frattini, il momento di formalizzare la decisione era quasi dettato dalle circostanze. Un blitz dell’ultima ora, con un nome ormai da tempo privo di responsabilità di governo, sarebbe stato senza speranze. Bisognava rischiare con una lunga rincorsa.

Tuttavia, vale la pena soffermarsi sulla dimensione tempo per approfondire due questioni che afferiscono alla sostanza della politica interna ed estera dell’Italia.

LE MOSSE DEL QUIRINALE

Non vi è alcun motivo di dubitare che i governi che si sono succeduti in questi ultimi anni abbiano sostenuto con convinzione e forza la nostra aspirazione alla massima carica della Nato. La coscienza che fosse in gioco, con la candidatura, un interesse nazionale, aveva mosso il presidente della Repubblica a far pesare tutto il suo incomparabile prestigio internazionale per sostenerla. Un’indicazione che nessuno avrebbe potuto trascurare.

Malgrado ciò, è ragionevole pensare che gli avvicendamenti a Palazzo Chigi e alla Farnesina abbiano nuociuto all’efficacia della nostra azione. Non certo perché siano venuti meno impegno e capacità nel sostenere la candidatura italiana ma perché, a ogni cambio di presidente del Consiglio e di ministro degli Esteri, è necessario ricostruire un rapporto di fiducia e confidenza personali con i diversi interlocutori, fondamentali nei negoziati internazionali.

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Giancarlo Aragona, presidente dell’ISPI


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