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Perché l’Onu si accanisce sul riscaldamento climatico

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Alessandra Nucci apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

In Inghilterra è in atto l’inverno più piovoso degli ultimi 248 anni. Iran e Afghanistan registrano nevicate epocali sconosciute da oltre mezzo secolo. In Francia è allerta rossa per le conseguenze della tempesta «Qumaira» che dalla Bretagna converge su Parigi.

Di là dall’Atlantico è primavera ma a Washington continua a nevicare e l’Osservatorio nazionale americano registra che nel primo mese del 2014 sono stati battuti ben 4.406 record di freddo e 1.073 record di precipitazioni nevose. Tutto ciò nonostante l’Onu propone di aumentare di oltre 100 miliardi di euro gli stanziamenti per combattere il riscaldamento globale.

LA PROPOSTA DELL’ONU

La proposta emerge dalle anticipazioni del Summary for policymakers of the United Nations intergovernmental panel on climate change’s fifth assessment report (Riassunto del quinto Rapporto di valutazione redatto dalla Ipcc, Commissione intergovernativa delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), che si occupa delle politiche mondiali da attuare da qui al 2030. Aggiunti alla cifra già impiegata, la spesa annua prevista dall’Onu per contrastare i cambiamenti climatici supererebbe così i 365 miliardi di euro annui, ovvero l’equivalente di quanto ritenuto necessario dalla stessa Onu per togliere di mezzo la fame nel mondo per una ventina d’anni.

COME TRUCCARE I DATI

Da qualche anno l’argomento riscaldamento globale – cambiamento climatico era praticamente scomparso dalle prime pagine dei giornali nostrani. Primo, perché le catastrofi concrete e attuali, quali il tracollo della Grecia e la drammatica precarizzazione degli altri Paesi del Mediterraneo, sconsigliavano di riproporre più di tanto delle catastrofi solo ipotetiche; poi anche perché l’ultima volta che aveva fatto notizia l’Ipcc aveva perso la faccia. Pochi giorni prima del vertice 2010 di Copenhagen, che avrebbe dovuto essere la consacrazione definitiva della teoria del riscaldamento antropogenico del pianeta, con conseguente lancio di ulteriori misure restrittive delle economie occidentali, era stata divulgata la corrispondenza email fra scienziati che si accordavano su come truccare i dati per addomesticarli.

L’INTERESSE DEI GIORNALI

Questo riaccendeva l’interesse dei giornali per lo svarione sullo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, le accuse di conflitti di interessi, dell’utilizzo di articoli non scientifici ma di lobby ambientaliste ecc. Colpo di grazia era parsa la pubblicazione da parte del Centro di ricerche sul clima dell’Università dell’East Anglia, all’inizio del 2012, di dati secondo cui la temperatura del pianeta da 15 anni a questa parte non era affatto aumentata in misura significativa, nonché il dissenso manifestato da 16 scienziati di rango sul Wall Street Journal, per smontare l’idea che la comunità scientifica fosse unanime nel sostenere il tentativo di imbrigliare il clima.

SI ACCENDONO I RIFLETTORI

Per questi motivi sono stati in molti, specie Oltreoceano, a giudicare finita per sempre la credibilità dell’Ipcc e della teoria del riscaldamento globale. Invece no, i riflettori si sono riaccesi come nulla fosse per l’uscita in corso, centellinata e in tal modo ripetuta sui media, dell’aggiornamento al rapporto 2007, che il New York Times ha riportato sottolineandone solo gli aspetti catastrofisti («L’allerta della Commissione sui rischi climatici: il peggio deve ancora venire»). Al confronto, il rapporto stesso risulta più prudente, ad esempio là dove ricorda anche i benefici del riscaldamento, fra cui la diminuzione delle morti per il freddo.

RISCALDAMENTO GLOBALE E FAME NEL MONDO

Ma il dato macro-economico rimane, e le cifre in ballo, fa notare il Climate policy initiative, superano in maniera esponenziale i 20 miliardi di euro annui spesi attualmente per contrastare la fame nel mondo, senza contare i 100 miliardi di euro che si propone di passare come indennizzo ai paesi poveri, per le «colpe» da far scontare ai Paesi sviluppati.

Leggi l’articolo su Italia Oggi



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