Con il deposito dei contrassegni elettorali per le europee del 25 maggio, si è avuto un primo, reale, avvicinamento formale fra tre movimenti moderati sin qui disaggregati, un primo, timido passo in avanti verso una unità d’azione che dovrebbe servire ad evitare ulteriori dispersioni del voto centrista.
L’evento è ancora modesto, ma indicativo di una linea di tendenza già presente nell’elettorato italiano e fin qui non analizzato con la dovuta freddezza e razionalità. Può darsi che, a condurre sulla strada di una preunificazione comunque unitaria (e non è un bisticcio), abbiano concorso le sollecitazioni di intellettuali e personalità centriste senza accasamenti, che da tempo premono sulle piccole formazioni intermedie collocate fra Forza Italia e il Pd a trovare un ubi consistam almeno in funzione di elezioni europee nelle quali è bene ridurre il numero dei contendenti, pena la sconfitta quasi certa di tutti i piccoli movimenti. Verosimilmente ha pesato di più la preoccupazione che l’esistenza di un quorum del 4 per cento di sbarramento obbligasse a ricercare candidature comuni, nel quadro di una partecipazione di deputati italiani alla famiglia europea del partito popolare. Quali che siano stati i calcoli dei dirigenti delle formazioni centriste ora formalmente alleate, ha prevalso la preoccupazione di non offrire agli elettori uno spettacolo indecoroso e dare prova dell’esistenza, nei rispettivi apparati dirigenti dei gruppi confluenti, di una volontà nuova, più convinta, di convergenza che l’elettore preferisce alla divergenza. A spingere in tale direzione verso l’unità non sono estranee le coincidenti elezioni amministrative che, riguardando circa la metà dei comuni italiani – ma non i principali -, era illogico distribuirsi sui vari fronti – verso destra come verso sinistra -, pur avendo giurato di essere convintamente attestati su posizioni centriste.
L’occasione elettorale del 25 maggio viene così a costituire una sorta di esperimento, di prova generale, delle più ampie e compiute visioni su cui ciascun gruppo confluente nell’alleanza elettorale ora concordata – e che, da sola, ha una valenza positiva – ha precisato una propria identità specifica. A dire il vero, scendendo sul terreno dei programmi concernenti l’Europa e quelli riguardanti il voto amministrativo, essendo stato tutto rimesso a successive precisazioni, non è che si capiscano bene le motivazioni dei partiti all’oggi; e meno che mai in funzione del domani. L’elettore si trova dinanzi a quotidiani pronunciamenti di questo o l’altro esponente del Ncd o dell’Udc o del gruppo Mauro che, obbiettivamente, non fanno capire all’elettore medio quale sia la posizione politica identitaria e prospettica di costoro in un sistema politico italiano non più bipolare ma almeno tripolare. Anzi, parecchie delle indicazioni da essi espresse (non solo le recondite) lasciano trasparire una concezione pluripolare del sistema politico generale. Che avrebbe senso e offrirebbe possibilità di successo se nelle future consultazioni politiche andassimo a votare con l’antica proporzionale e non con uno qualsiasi dei metodi elettorali maggioritaristi nei quali il centro degli interessi è l’entità del premio di maggioranza più che la funzione istituzionalizzante di un vantaggio in seggi alle liste più votate.
Accontentiamoci intanto del primo accorpamento reale. Manifestando, però, dubbi seri che, da essi, possa trarsi davvero una grande forza alternativa alla sinistra. Specie nel momento in cui quest’ultima non possiede alcunché di unitario: salvo l’utilizzo del potere centrale e locale a proprio uso e consumo.