Piketty affascina con le sue teorie i liberal americani. Ha scritto tutto un volume “Capital” dove analizza a suon di derivate dati e dati della ricchezza dell’Occidente. Patrimonio e reddito, di cui studia le dinamiche. Come si incrociano econometricamente vecchi e nuovi ricchi con i vecchi e nuovi poveri. Il tutto per capire, ammesso che di queste questioni si possa capire alcunché, come è meglio organizzare la società secondo nuove logiche collettive. Affidandole ad un nuovo e più attuale destino unico. La solita illusione. Che perpetua violenza e sfocia in tragedia.
Perché quello che Pikett e tutti gli economisti come lui dimenticano sempre è che, a un certo punto, nel teatro della vita, il cui palcoscenico non si trova di certo sulla pizza di fronte a un’Agenzia delle Entrate o dell’Inps, prende e ti spunta senza che te l’aspetti Antonida Vasìljevna Taraseviceva. Altro che eredità, altro che vita da rentier. La baboulinka, come una palla da bowling, spazza via manco fosse il Grande Lebowsky, tutte le teorie e tutte le più borghesi e prosaiche aspirazioni. Lei prende e rischia tutto quello che possiede al tavolo da gioco. Altro che 8 per mille. Sul tappeto verde. Che non è ecologico, non è umanitario. E manco tanto vegetariano, semmai carnivoro. Ecco.
E’ da quando abbiamo smesso di fare della vita almeno un poco di letteratura che ci siamo incagliati sulle secche dell’economicismo che, onomatopeicamente, è la disciplina che fa le fusa al denaro.
Non è di teorie che abbiamo bisogno, ma di uomini avvezzi al rischio ma non quello figlio della disperazione e della mancanza di alternative ma quello che sgorga dall’irrefrenabile istinto di bruciare la propria vita per farne una stella. In un zigzagare tra vizi e virtù, tra gloria e fango, percorrendo tutte le passioni. Sono questi gli unici uomini che potranno avere la meglio sui tanti Stellovskij
Piketty, i ricchi e Antonida Taraseviceva
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