Un dejà vu. Come un anno fa, l’assemblea degli azionisti di Bpm ha bocciato la riforma della governance. “Perché la modifica della governance passasse – scrive l’Ansa – erano necessari i due terzi dei voti in assemblea. Considerato che i presenti sono stati 2.577 e gli astenuti 45, il quorum per l’approvazione era di 1.689 voti: i favorevoli si sono fermati a 1.565”.
CONTRO LA RIFORMA
La bocciatura è stata una sorpresa. Tanto che il presidente del consiglio di sorveglianza, Piero Giarda, aveva azzardato dare l’approvazione per cosa fatta, fino a che, alla conta dei voti davanti al notaio ci si è resi conto dell’amara verità: che i contrari, seppur di misura erano superiori.
I tempi sembravano maturi, visto che la riforma della governance è una necessità ormai poco differibile. Nella formulazione attuale la riforma prevedeva un maggior peso agli istituzionali, pur conservando la forma della cooperativa. Bankitalia era tra i maggiori promotori.
SOLO UN INCIDENTE?
Cosa succede adesso? “Non si interrompe il percorso”, secondo i vertici della banca. Però si dovrà fare i conti “con la Borsa, con le agenzie di rating, con il consorzio di garanzia per l’aumento di capitale da 500 milioni (che partirà nei primissimi giorni di maggio) – scrive Vittoria Puledda su Repubblica – con Consob e Banca d’Italia, che con tanta determinazione aveva chiesto la riforma della governance e ne aveva anche indicato la direzione; e che in questo clima, non toglierà certo gli add on, quegli accantonamenti aggiuntivi sui prestiti che, ha ricordato l’ad Giuseppe Castagna, per Bpm valgono più dell’aumento di capitale”.
I VOTI CONTRO
Ma se il board si lecca le ferite, Piero Lonardi e il Comitato soci non dipendenti si fregano le mani. “I voti contrari in assemblea sono i nostri, sapevamo di avere fino a 1.200 voti e ci siamo organizzati”, ha commentato a caldo Lonardi, definendo l’accaduto “una rivincita dei risparmiatori e delle minoranze”. Sin dalla avvio dell’assemblea, il presidente del comitato soci non dipendenti, insieme al suo braccio destro Roberto Fusilli, aveva promesso battaglia: la discussione sulla riforma dello statuto si è protratta per oltre quattro ore. Il testa a testa tra Giarda e Lonardi, che a dicembre si erano sfidati per la presidenza del consiglio di sorveglianza, è proseguito davanti alle urne: mentre Lonardi invitava i soci a registrarsi l’ex ministro, che aveva annunciato l’approvazione della riforma dopo il voto palese salvo poi ritrattare su richiesta del notaio in attesa dei numeri, chiedeva di chiudere le urne.
EMORRAGIA GIARDA
Anche se i voti mancanti per il via libera alla riforma sono stati un centinaio, c’è stata un’emorragia di oltre 2.300 preferenze in quattro mesi per Giarda. E per Piero Lonardi è stata davvero una vittoria – forse di Pirro – ma pur sempre vittoria. È la prima volta dalla sua nascita nel 1994 che il comitato dei soci non dipendenti è riuscito a imporre la sua posizione. Per Giarda, Castagna e il presidente del consiglio di gestione, Mario Anolli, che debuttavano in questa assemblea, è un “inciampo”, un “infortunio” inaspettato; l’intenzione è però, di andare avanti con la tabella di marcia già annunciata.
I RISCHI
Secondo Castagna l’aumento di capitale non dovrebbe invece essere a rischio: “Abbiamo predisposto tutti gli accordi contrattuali – ha spiegato – per andare avanti con ogni evenienza. Poi, di fronte a questo esito inatteso, è doveroso sentire Consob e i global coordinator dell’operazione per fare le considerazioni del caso”. Il tema sarà sul tavolo del consiglio di gestione già martedì; il consiglio di sorveglianza si riunirà invece subito dopo Pasqua, il 22 aprile. I vertici non hanno poi escluso che si possa tornare “a breve” in assemblea, con un progetto di governance per il quale si vorrebbe un coinvolgimento maggiore dei dipendenti soci. Il segretario generale della Uilca, Massimo Masi, dopo l’assemblea, ha rimproverato a Giarda di “non aver condiviso le scelte strategiche, nemmeno nella fase di costruzione, con coloro che hanno a cuore il futuro di questa banca”.