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Renzi e il ventre armato delle sinistre

Il ventre di un qualsiasi partito funge sistematicamente da ritardatore, si tratti di un movimento di centro, di destra o di sinistra, come più frequentemente accade in Italia da qualche anno. Dove le sinistre ufficiali (in parlamento) sono almeno tre: Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Sel. Il ventre dei partiti non è una metafora, cui si ricorre per giustificare gli errori dei dirigenti. Il ventre, vale a dire il grosso dei militanti e dei simpatizzanti che non animano soltanto i momenti speciali elettorali ma costituiscono la forza (o la debolezza) permanente di ogni soggetto politico, è il riferimento concreto, pesante, determinante nel fornire un’identità precisa ad un partito qualsiasi.

Che ha un capo più o meno simpatico, più o meno adeguato, più o meno abile, il quale – qualunque immagine dia di sé -, è consapevole di essere comunque indelebilmente condizionato da quel suo adiposo ventre: zeppo di vecchi e nuovi ideologismi; di antichi e recenti pregiudizi; di rabbia non sempre contenuta e non accetta la linea del leader: Quel ventre ingombrante sopporta il capo finché riceve da lui soddisfazione. Mugugna o si ribella ed esplode, allorché il capo ammicca all’avversario (anche se per nobili motivi: come il procedere a riforme costituzionali in maniera condivisa da larghe e robuste maggioranze) e sembra farsi beffe del suo ventre, che poi è il centro stesso della sua vitalità.

Ciò che sta accadendo nel Pd, il cui segretario è, al contempo, presidente del consiglio, è da manuale del più aggiornato postcomunismo. Il vertice viene contestato dalla sua base, se osa progettare riforme serie concordate con l’opposizione democratica più forte (e che può risultare risolutiva); è sostenuto, se il capo tira fuori i suoi artigli più perigliosi per l’incolumità generale e tiene sempre alta la tensione che alimenta una guerra civile capace di calpestare ogni ritegno umano.

Quel ventre è sempre agitato. Talvolta pretende d’essere chiamato territorio di riferimento per gli eletti, che non vuole mai dialoganti, bensì sistematicamente lanciati all’arma bianca contro il nemico. Talaltra il ventre è il confessionale dei mediocri, dei movimenti che aspirano a rappresentare ogni forma di protesta e di rifiuto; e, quindi, rigetta le proposità e si esalta nella lotta a oltranza. Anche, se non soprattutto, quando si atteggia ad area di riferimento degli sfasciacittà, dei dissoluti in tuta celeste e fazzoletto nero sul viso per non essere riconosciuti che vanno all’assalto delle forze dell’ordine, peraltro figlie dei ceti più umili della collettività.

I giovani non lo sanno, ma queste tute speciali somigliano ai più focosi brigatisti del 1977, che venivano applauditi e giustificati da larghe masse; e perciò, ora, sono ancora più pericolose: perché, alle spalle, hanno l’esperienza vissuta dai loro padri e fratelli maggiori che, quand’erano più blandi, si consideravano «né con lo Stato, né con le brigare rosse».

Contemporaneamente alle imprese gioiose degli sfasciacittà, le minoranze (e se, sostenute, come sono, dal ventre, fossero invece maggioranze?) della sinistra di lotta (di combattimento, si torna a dire) e di governo, si rimobilitano attorno ad un progetto animoso: «Riprendiamoci il Pd». Nel frattempo i signori dei media – costituenti la peggiore borghesia d’Europa – se ne compiacciono; incitano il ventre e, al contempo, proteggono il potere bicefalo di Renzi, un non eletto: e, perciò, massimamente esposto al girar del vento e degli assalti alle baionette di un ventre sinistro mai domo, ognora convinto di rappresentare la continuità, anzi l’identità immodificabile di chi non sente ragioni, se non le proprie.


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