di Flavio Felice e Fabio G. Angelini
L’Italia è un Paese che si sta impoverendo, basta guardarsi intorno per rendersene conto. Questo avviene non a causa di un piano deliberato o di un sordido complotto, ma a parere di una parte importante dell’opinione pubblica, e anche di chi scrive questa riflessione, perché è stata governata da una ristretta élite politica, economica e culturale, pressoché inamovibile, refrattaria al cambiamento e impermeabile alla critica. Una cerchia di privilegiati fatta di politici, di imprenditori, di burocrati e di intellettuali che hanno finito per modellare la società sui propri interessi, a danno della vasta maggioranza degli italiani.Come da tempo sosteniamo, anche sulle colonne di questo giornale, in linea teorica, esistono due tipologie di istituzioni: quelle “estrattive” e quelle “inclusive” (D. Acemoglu – J. Robinson). Seguendo l’insegnamento, tra gli altri, di Luigi Sturzo e di Luigi Einaudi, le prime: “estrattive”, comportano una realtà sociale fondata sullo sfruttamento della popolazione e sulla creazione di monopoli, riducendo gli incentivi e la capacità di iniziativa economica della maggior parte della popolazione.
Le seconde, quelle “inclusive”, sono quelle che permettono, incoraggiano e favoriscono la partecipazione del maggior numero possibile di persone, al fine di canalizzare nel modo migliore i talenti e le abilità, permettendo a ciascuno di realizzare il proprio progetto di vita. Le istituzioni “inclusive”, secondo uno dei dettami fondamentali della cosiddetta “economia sociale di mercato”, necessitano dello Stato, di uno Stato forte e imparziale, che garantisca il libero accesso a tutti alla competizione; di uno Stato regolatore e arbitro (rule oriented), ma mai giocatore o, peggio, colluso con qualche giocatore. Le istituzioni che hanno carattere opposto a quelle “inclusive” sono dette “estrattive”, in quanto vengono usate da determinati gruppi sociali e corporazioni, talvolta anche con il tacito o esplicito consenso del decisore pubblico (target oriented), per appropriarsi del reddito e della ricchezza prodotta da altri: multa exempla docent.
Se si accetta, dunque, la concentrazione del potere nelle mani di pochi, per di più garantita da meccanismi istituzionali che negano la logica schumpeteriana della “distruzione creativa” come leva del ricambio in ambito politico, economico e culturale, l’assetto istituzionale risulterà tale da permettere lo sfruttamento di grandi ricchezze da parte dei pochi, a danno dei molti. In tali contesti, affinché la logica “inclusiva” prevalga su quella “estrattiva”, per quanto necessaria, non è sufficiente la sostituzione generazionale (o la “rottamazione”) di un’élite a vantaggio di un’altra (che non è detto risulti più illuminata della precedente). C’è solo un modo affinché una società avviata al declino economico possa invertire la rotta: una trasformazione politico-culturale che riguardi la qualità delle istituzioni.
Papa Benedetto, nella sua enciclica Caritas in veritate, ci invita a intraprendere «la via istituzionale della carità» e, riferendosi al «bene comune», richiama esplicitamente la dimensione «istituzionale». Poiché il «bene comune è composto da più beni: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori, a cui i primi vanno subordinati» (n.7) – e ha, pertanto, una dimensione plurale – anche le istituzioni preposte al suo ottenimento è bene che rispondano al principio poliarchico e, perciò, che siano articolate in modo sussidiario. Il riferimento autentico e non retorico al «bene comune», che assuma l’elemento istituzionale di Benedetto XVI e che voglia rispondere positivamente all’invito di Papa Francesco per un’economia inclusiva, non può quindi trascurare questa fondamentale distinzione e non procedere a una seria e impietosa critica nei confronti delle troppe istituzioni estrattive che impediscono lo sviluppo autentico del nostro Paese. Proprio l’individuazione e la denuncia di queste ultime rappresenta il primo passo per implementare quella prospettiva teorica dell’economia sociale di mercato alla quale fa riferimento anche la tradizione della Dottrina sociale della Chiesa e, così, raccogliere l’invito di Benedetto XVI e di Papa Francesco.
Flavio Felice e Fabio G. Angelini