Stanno scomparendo uno ad uno i grandi vecchi dell’industria farmaceutica italiana. Mercoledì scorso alla bella età di 91 anni è uscito di scena il “patron” della Menarini, Alberto Aleotti, la più importante industria del farmaco del nostro Paese. Oltre tremila milioni di euro di fatturato, 16.600 dipendenti in tutto il mondo.
Nel ranking europeo la Menarini figura al 16° posto su oltre 5.000 aziende e al 38° posto a livello mondiale su circa 20.000. Una storia di successo che è da ascrivere per intero a questo uomo dal fisico non imponente, ma con una forza vitale e una determinazione fuori dal comune.
Era nato in un paesino in provincia di Reggio Emilia, Quattro Castella, da una famiglia povera, all’età di 8 anni perse il padre e grazie ai sacrifici inimmaginabili della madre e ad un’eccellente media scolastica, riuscì a diplomarsi ragioniere a 19 anni. Venne subito assunto presso l’azienda municipalizzata delle Farmacie Riunite di Reggio Emilia. In soli 4 anni, lavorando di giorno e studiando di notte, divenne dottore in Economia e Commercio presso l’Università di Bologna a soli 23 anni.
Grazie a quella “cocciutaggine” di cui dicevamo, in pochissimi anni le Farmacie Riunite di Reggio Emilia da sempre in rosso, cominciarono a produrre profitto. Con i soldi guadagnati il comune di Reggio, su indicazione di Aleotti, fornì per diversi anni l’assistenza farmaceutica gratuita a ventimila cittadini che versavano in condizioni di povertà. Tutto questo trent’anni prima dell’istituzione del servizio sanitario nazionale.
Parte dall’esperienza portata a buon fine da Aleotti, l’idea di diffondere a livello nazionale le “farmacie comunali”. Fu chiamato a Milano, a Bologna dal mitico sindaco Dozza e dal sindaco “santo” di Firenze, Giorgio La Pira, quale massimo esperto per organizzare sul territorio la distribuzione dei farmaci ai cittadini attraverso farmacie pubbliche.
Questo suo “talento” organizzativo non poteva sfuggire all’industria farmaceutica dell’epoca che lo blandiva con incarichi altamente remunerativi. Scelse una piccola azienda nata a Napoli e di proprietà del Commendatore Mario Menarini, di cui divenne direttore generale nel 1964.
Da allora è stata una lunga corsa che l’ha portato nel giro di due decenni a diventarne Amministratore Unico e proprietario. Forse la battaglia, però, di cui più andava fiero è stata quella relativa al riconoscimento del “brevetto” per i prodotti farmaceutici. Una battaglia vinta nel 1978 e sancita dalla sentenza della Corte Costituzionale Italiana che dichiarò “incostituzionale il divieto di brevetto sui farmaci”.
Divenne presidente di Farmindustria per quattro mandati consecutivi e Cavaliere del Lavoro su nomina di Sandro Pertini, fu poi vicepresidente dell’associazione dell’industria farmaceutica europea e, nel biennio 92/94, presidente mondiale. Unico italiano a ricoprire quella carica.
L’intuito per gli affari industriali fu fondamentale per Aleotti al momento del crollo del muro di Berlino. Il governo tedesco decise di mettere all’asta alcune industrie della Germania ex comunista. Senza conoscere una parola di tedesco ma determinato a partecipare e ad aggiudicarsi la Berlin Chemie, industria del farmaco di Berlino est dagli impianti obsoleti, con problemi seri di inquinamento, ma con alcuni prodotti conosciutissimi negli ex paesi dell’orbita sovietica, Aleotti riuscì a portare sotto l’ala della Menarini anche la Berlin Chemie che oggi è leader nella farmaceutica dell’est Europa.
Nel 2005, il Presidente della Repubblica Federale di Germania, gli conferì per “alti meriti” la Grossez Verdienstkreutz, una delle più importanti onorificenze della Germania. Era amante dell’arte del Rinascimento e dell’attività fisica. Chi l’ha conosciuto non può dimenticare la “presa” di quel piccolo uomo dotato di una forza considerevole dovuta alle tante “vasche” percorse nella sua piscina della splendida villa di Fiesole sulle colline di Firenze.
Non era un santo, ma un “padrone” vero di quelli che controllano che le luci siano spente alla fine della giornata di lavoro. Un carattere forte e anche, per certi versi, autoritario. Fu coinvolto in tangentopoli nelle vicende De Lorenzo-Poggiolini e arrestato come quasi tutti gli industriali farmaceutici operanti in Italia. La Procura di Firenze ha rinviato a giudizio lui e i suoi figli per una ingente provvista di denaro in Liechtenstein per frode fiscale.
Ma questa è un’altra storia. Come dicevano i nostri antenati latini: “De mortuis nihil nisi bonum”. Dei morti si parla solo bene.
Bruno Chiavazzo