Skip to main content

Alla ricerca dell’amore “umano” ed impossibile in un domani di nexumani.

Ho incontrato Francesco Verso stamane qui alla XXVII edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, dove oggi pomeriggio alle ore 14.00, per i panel culturali di Deleyva Editore, parteciperà, presso la sala stampa dell’area INCUBATOR, PAD. I area LINGOTTO FIERE, al dibattito: Fiction Architecture: scenari urbani tra immaginario e realtà. In quest’evento verrà presentato Citymakers di Deleyva Editore, ed il progetto cross-mediale Future FictionIo ho approfittato dell’occasione perché ho letto i libri di Verso, tra cui LIVIDO, il suo ultimo romanzo, (in uscita in inglese per Xoum in Australia su carta e nel resto del mondo in versione digitale) e mille domande mi sono tornate alla mente scaturite dalla emozione che mi ha accompagnato nella lettura della sua storia.

Livido si svolge circa nel 2050. L’immagine delle città attraversate tra circa 50 anni, coperte da rifiuti che chiami “palta”, risultato d’inquinamento ed accumulo di pattume. La terra è sommersa da rifiuti, e noi stessi siamo un assemblaggio di “chincaglieria elettronica”. E’ così che immagini il futuro? L’idea di LIVIDO viene da una scena a cui ho assistito tre anni: stavo uscendo da un mercatino dell’usato con mia moglie quando ho notato dentro un cassonetto della spazzatura un bambino di otto anni circa che aveva trovato una bambola alta quanto lui; la stava pulendo e accarezzando come fosse la sua fidanzatina. Quest’immagine, toccante e terribile al tempo stesso, ha dato inizio alla vicenda di Peter Pains. Non è un segreto che l’iperproduzione lasci sul terreno il prezzo da pagare per la nostra incuria e mancanza di rispetto verso l’ambiente. In Livido ho estremizzato la situazione per accelerare un processo visibile quasi dovunque.

Ci descrivi il territorio dove si svolge LIVIDO? Il romanzo è ambientato in una megalopoli non meglio specificata, una città immaginaria, che potrebbe essere in molte parti del mondo. Il suo territorio è minacciato dalla crescita esponenziale della “palta”, o pattume, dovuta al divieto di trasferire spazzatura al di fuori della città stessa, cosicché ciascun quartiere è responsabile di cosa e quanto butta via. Nelle periferie della città si assiste così al ritorno al baratto, alla nascita dei “trashformer”, bande di ragazzini che frugano i cumuli di spazzatura in cerca di “valore residuo”, e di aziende come la Reverse che raccoglie e gestisce i rifiuti mediante terribili cassonetti automatizzati detti “UPU”: unità pulenti urbane. E’ uno scenario distopico ma non troppo lontano dalla realtà di numerose metropoli, sia in Italia che altrove.

Immagini una scritta sui muri che dice così: <<La biologia non è una meta, è una tendenza. I chip sono la nostra destinazione>> e vedi un graffito bioluminescente che dice <<Ciò che non si consuma, paltisce>>. E’ realmente il nostro destino in un futuro neanche troppo remoto? È una possibilità… quello che trovo interessante è la probabilità che certe tendenze diventino fenomeni quotidiani, consuetudini di cui non ci rendiamo subito conto. Da molti anni estendiamo i nostri sensi in protesi tecnologiche (memorie di massa, occhiali per la vista aumentata, computazione distribuita tramite smartphone). Quelle che un tempo erano tecnologie volte al recupero di funzionalità danneggiate o limitate (apparecchi acustici, protesi per la deambulazione, moncherini) stanno diventando “potenziamenti” capaci di sviluppare i sensi oltre la normale dotazione biologica. Questa interazione è una novità e le novità aprono scenari interessanti dove ambientare la “drammaturgia del futuro”.

Il tuo testo è anche un monito ambientale? Riporti questa frase: <<Tutto ciò che ami un giorno ti respingerà o morirà. Tutto quello che hai creato un giorno verrà gettato via. Tutto quello di cui sei orgoglioso finirà in immondizia>>. Chuck Palahniuk. Più che un monito è una presa di coscienza. Non possiamo continuare a produrre così tanto, a questa velocità, senza considerare le conseguenze delle nostre azioni. È tempo che il consumismo entri nella fase della maturità, della responsabilità non solo a parole. Non vedo alternative, a meno di non affidarci alla tecnologia (che ci sarebbe già) o alla politica e alla economia (veri colpevoli di questa situazione).

Poi citi anche Charles Baudelaire <<Quando respiriamo ci scende nei polmoni la Morte, fiume invisibile con sordi lamenti>>. Poi soprattutto ribattezzi le poche testimonianze verdi “i fiori del male” ai quali affianchi la scritta: “Siamo ortiche nate dal rifiuto”. Ma la tua visione non sembra vicino alla “nascita dalla morte”, piuttosto l’inverso, la vita dall’energia della vita stessa. Mi sbaglio? Sì, credo che la realtà sia ciclica e che quindi l’alternanza – di stati, di congiunzioni e di rivoluzioni, sia un elemento fondamentale dell’esistenza. Sebbene le cose non tornino mai le stesse di prima, le costanti che riemergono sono indicatori puntuali nello svolgimento di un processo. Io mi limito a osservare dove siamo e dove potremmo andare da qui ai prossimi 50-100 anni.

LIVIDO è una storia di un amore impossibile, tra realtà umane e nexumane. Dove però spesso l’inumano appare proprio attraverso i comportamenti umani. Credi che in futuro avremo la possibilità di migliorare anche i nostri sentimenti? Credo che potremmo farlo già adesso. L’egoismo è il primo ostacolo verso il raggiungimento di una comunicazione migliore. I nexumani sono soltanto l’esempio di qualcosa in cui potremmo evolverci qualora la biologia potesse essere sostituita da una “nexumanità” meno legata ai bisogni fisiologici e più orientata alla parte altruistica del nostro essere.

La storia di Livido è fatta di rapporti sbagliati, di contrasti con persone negative e violente come Charlie, il fratello di Peter, che ne determina tutta l’infelicità. E’ un modo per presagire che noi umani stiamo perdendo la capacità di amarci? La vicenda della famiglia Pains è abbastanza comune, la differenza sta nel modo in cui i personaggi vivono l’avvento dei nexumani. Volevo mostrare i vari punti di vista, le paure e le speranze nei confronti di una modifica così profonda dell’evoluzione umana (l’idea di evoluzione artificiale o per lo meno di evoluzione guidata). L’amore ha molte sfumature e ognuno ne ha un’idea personale. Sicuramente quello di Peter è un sentimento ambiguo ma la sua dedizione e perseveranza lo rendono assolutamente umano. Charlie invece ha un approccio più emotivo, spesso spaventato e quindi aggressivo e incline alla violenza sia verbale che fisica. La capacità di amare resta congenita alla razza umana, alcuni tratti possono cambiare, a seconda delle condizioni psicologiche e sociali, e sono quelli che trovo più interessanti da raccontare.

Il Peter Pains di Livido sembra un personaggio anacronistico, alla ricerca della sua Alba, intera o a pezzi, umana o ingegnosamente ricostruita, proiezione della perfezione e della felicità irraggiungibile. Alba rappresenta il nostro sogno? La ricerca dell’amore perfetto? In realtà una delle idee principali del romanzo è che durante l’infanzia siamo colpiti da emozioni e sentimenti così forti, incontrollabili e totalizzanti che spesso trascorriamo il resto dell’esistenza nel tentativo di riviverli. Così Peter non si limita a raccogliere la testa di Alba nell’immondizia, ma intraprende un’avventura, lunga quindici anni, per potere ritornare al momento della massima felicità (che paradossalmente coincide con la sua massima infelicità e la dipendenza da tanti fattori come il fratello, la madre, il suo stesso corpo mutilato).

L’amore nel tuo romanzo è meccanico, o poesia di dialoghi interrotti fusi ad una memoria idealizzata di un ragazzino di 15 anni. Per il fratello di Livido, invece, è sesso e depravazione. Con Kiko è un amore “coniugale” spento dagli automatismi del quotidiano. Intravedi una via di mezzo o la tua idea di amore è così totalizzante da escludere la quotidianità? Ogni relazione ha le sue meccaniche; molte di queste si svolgono ogni giorno (eccetto quella tra Peter ad Alba che è appunto idealizzata) e sono soggette a ripetizione e usura: le soluzioni escogitate dai vari personaggi per compensare questo “decadimento relazionale” rappresenta la loro via di fuga, la loro ricerca di sicurezza e soddisfazione. Tutte le donne di Livido, da Cleo, a Kiko, a Jo e addirittura Alba mettono in atto delle forme di preservazione dell’amore (chi con la memoria, chi con la strategia, chi con la sottomissione e chi con il mind-uploading).

Nella descrizione della realtà artificiale in cui è ambientato il romanzo, tu aggiungi “Senza amore, la vita è un’enorme spreco di tempo”. Quindi la postumanità sarà comunque romantica? Perché no? L’amore – la sensazione di amare – è un sentimento che le persone vivono di rado; un picco, intenso e coinvolgente che dura pochi attimi oppure si sedimenta come uno strato di benessere o dolore sul letto del nostro animo, eppure non smettiamo mai di cercarlo e di inseguirlo. È ciò che ci rende umani nella serie di operazioni meccaniche e procedure funzionali in cui siamo immersi ogni giorno.

Citi questa frase <<Si può abitare il mondo senza capirlo, basta cavarne un po’ di cibo, carezze ed amore.>>di M. Houellebecq. Credi davvero che sono questi i bisogni primari ai quali ambiamo per una serenità agognata? “Le possibilità di un’isola” di Michel Houellebecq è un romanzo terribile, spietato, eppure bellissimo nella sua rappresentazione di un’umanità in crisi, incapace di serenità ed equilibrio. Un’umanità talmente compromessa – specchio di un tempo indecifrabile – che alcuni vedono nella clonazione, non solo umana ma anche animale, una promessa di miglioramento, una speranza di liberazione dalla nostra caducità biologica. Per questo la frase citata mi sembrava adatta a descrivere l’isola del titolo del romanzo, un frammento limitato e circoscritto, metafora di un isolamento infelice, dove tuttavia sia comunque possibile ritrovare il senso – o forse un lembo – di sé stessi.

Il protagonista di Livido conosce il sesso attraverso un’esperienza sgradevole, che non può andare di pari passo con l’amore. Anzi, sarà un passo strategico, sempre finalizzato alla ricerca di “ricostruire” il suo amore. Ma la ricerca è tutta la sua storia, e quella del romanzo. Quindi stai provando a incitarci a cercare? Con impegno, dedizione e amore come fa Peter Pains? Sicuramente… la nostra limitatezza fisica, conoscitiva e affettiva (siamo gli unici esseri che non bastano a sé stessi) è il motore della nostra infaticabile ricerca. Dal lavoro, all’amore, all’identità non conosco altri “movimenti” in grado di assicurarci per lo meno la speranza di trovare quello che cerchiamo. Poi, “come” ciascuno porta avanti la ricerca dipende da elementi culturali e sociali, ma sì… tutti cercano qualcosa, che lo ammettano o meno.

Nel tuo romanzo c’è uno spirito noir, una sorta di “mercato” digitale, la fantascienza dei corpi e dei luoghi. Da quale categoria vuoi essere rappresentato? Da nessuna in particolare. Come il futuro arriva tutto quanto insieme, compatto e difficile da sciogliere in un’unica equazione, così mi piace affrontare la narrativa, la rappresentazione di un futuro con tutte le sue componenti (economiche, sociali e relazionali). La difficoltà sta appunto nel rendere questa complessità in modo chiaro e convincente.

Ora che e-Doll ha vinto il Salone del LIBRO_TO IMG_4012 F_VERSO e Livido il Premio Odissea, a quali premi o riconoscimenti ambisci? L’anno scorso ho finito BloodBusters (una storia grottesca di sangue ed evasori ematoriali) mentre quest’anno ho scritto I Pulldogs, il primo di due libri (il secondo si chiamerà No/Mad/Land) che costituiscono il mio prossimo romanzo I Camminatori. Conto di finire entro il 2015: la storia ruota attorno ai naniti – nanomacchine dotate di intelligenza artificiale – e la conseguente sostituzione del cibo. Il romanzo segue le vicende di un gruppo di persone – I Camminatori – che grazie ai naniti, al 3D printing e al cloud computing abbandonano la vita sedentaria della città per intraprendere un percorso di contro-urbanizzazione tornando a popolare siti abbandonati attraverso una sorta di “nomadismo tecnologico” del XXI secolo.

Poi sia Citymakers che Livido sono finalisti al Premio Italia 2014, assegnato durante la ItalCon (convention annuale di fantascienza) per le migliori opere di saggistica e narrativa in ambito fantascientifico.

Bene allora ti facciamo in bocca al lupo per oggi e per i prossimi premi!

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter