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Banca Popolare di Milano, perché l’aumento di capitale non attizza troppo Piazza Affari

Non è ancora primavera per la Banca Popolare di Milano (Bpm). E così ieri, nel primo giorno dell’aumento di capitale da 500 milioni, deliberato per rafforzare i requisiti patrimoniali in vista degli Aqr della Bce, il titolo ha segnato un leggero calo (-0,08%), con i diritti sull’operazione in calo dell’1,28%. L’azione aveva aperto la seduta piuttosto baldanzosa, per poi perdere anche l’1,2% – con i diritti di opzione in crollo del 4,6%.

RICAPITALIZZAZIONE SENZA NUOVA GOVERNANCE

I broker lo avevano detto: senza la riforma della governance, quella che è la più interessante ricapitalizzazione di questa tornata, rischia di essere un flop. E la riforma delle governnace non c’è stata: anzi a metà aprile Bpm è stata sospesa per eccesso di ribasso dopo il no dei piccoli azionisti di Piero Lonardi al piano di riforma presentato da Piero Giarda che intendeva dare più spazio agli istituzionali senza stravolgere i principi di popolarità della banca milanese.

I TERMINI DELL’OPERAZIONE

Poi mercoledì 30 aprile il consiglio di gestione ha deliberato l’emissione di 1,161 miliardi di azioni da offrire in opzione al prezzo di 0,43 euro, con uno sconto cioè del 35% rispetto alla chiusura di venerdì. Le nuove azioni sono offerte in rapporto di 9 ogni 25 possedute e i diritti saranno esercitabili fino al 23 maggio mentre potranno essere negoziati solo fino al 16 maggio. L’aumento segue quello, di successo, di Banco Popolare che ha sfruttato il vantaggio di arrivare per primo e ha raccolto dal mercato ben 1,5 miliardi di euro senza dover far ricorso al consorzio di garanzia. Quanto a Bpm, in ogni caso, non è detto che l’operazione non si concluda in maniera altrettanto positiva: ad aver pesare sulla reazione iniziale del mercato potrebbe essere anche l’entità della ricapitalizzazione, 500 milioni su un capitale complessivo di 1,4 miliardi, ovvero il 36%. Con un effetto diluitivo importante sul titolo. Verso la fine dell’operazione, gli acquisti potrebbero sostenere le azioni facendo loro invertire la rotta.

UN BUON AFFARE?

Ma a stabilire se l’aumento di capitale di piazza Meda sia realmente una vittoria sarà infine un unico elemento: che si tratti di una misura definitiva e non dell’ennesima toppa a cercare di parare un’emorragia di sistema finora inarrestabile. Bpm aveva fatto ricorso al mercato già del 2011, chiedendo agli azionisti ben 800 milioni di euro. Con questa seconda richiesta Bpm mira a portare i ratio patrimoniali sopra la soglia di guardia dell’8%: con l’adesione totale, il Tier 1 dovrebbe salire all’8,4%.

ULTIMO AUMENTO

Basterà? Non è detto. Se, come rileva Radiocor, dopo l’aumento a Bpm non sarà consentito rimuovere i filtri patrimoniali aggiuntivi (i cosiddetti add-on) imposti dalla Banca d’Italia, la banca “potrebbe presentare in futuro nuovamente l’esigenza, a fronte anche di fattori esterni ed eventi non prevedibili e al di fuori del controllo del gruppo, di ricorrere a ulteriori interventi di rafforzamento patrimoniale” per raggiungere i target richiesti. È quanto si legge tra i fattori di rischio inclusi nel prospetto sull’aumento di capitale. Bpm sottolinea infatti che la decisione di rimuovere gli add-on “resta in ogni caso rimessa all’autorità di Vigilanza”.

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