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C’era una volta Torino, c’era una volta la Juventus

Ieri pomeriggio, passate da poco le quattro, mentre a Catania si stava consumando l’ormai proverbiale locuzione “Clamoroso al Cibali”, tutti sapevano che la Juventus si era aggiudicata il trentesimo scudetto. Fuori, però, silenzio. Un silenzio totale. Né uno schiamazzo, né un urlo. Né un clacson, una trombetta. Manco un pirito. Solo silenzio.
C’era talmente tanto silenzio che potevo sentire lo sgranocchiarsi della foglia da parte di un maledetto coleottero sulla mia pianta in balcone. C’era un’atmosfera ovattata come quando nevica. In effetti dalla finestra c’era da sfregarsi gli occhi dallo stupore, perché tanto era il polline di pioppo nell’aria che in effetti pareva proprio nevicare.
Deve essere stata questa atmosfera a conciliare il sonno a Tevez il quale nella sua camera di albergo a Leinì, dove la Juventus era in ritiro, non si è accorto di nulla. Hanno dovuto svegliarlo per dirgli che aveva vinto lo scudetto anche lui. Nel sonno.
Che volete, è andata così. Torino ormai non è più la stessa. La fabbrica di entusiasmo lavora a pochi turni, se lavora. Poi ci sono i ponti. Uno dopo l’altro. Ma non le infrastrutture, ché quelle non ci sono le risorse per farle. I ponti di festa. Chi si ostina a voler lavorare, in queste settimane a Torino sul deserto Corso Stati Uniti, a pochi passi proprio dalla sede della Juve, trovava la safety car che gli impediva di andare troppo veloce.
Chissà, forse avranno festeggiato nella notte a Detroit. Dove almeno un po’ di lavoro c’è e quindi anche un po’ di entusiasmo. Qui a Torino i migliaia di operai costretti a non far nulla per essere pagati con la cassa integrazione in deroga, ovviamente si saranno organizzati diversamente. Avranno fatto una gita fuori porta. E quindi ieri pomeriggio non c’era proprio nessuno per festeggiare. La squadra, dicono, è andata a festeggiare in un locale del cuneese. Quindi da Leinì dov’era in ritiro non è proprio passata da Torino. Diretta a Cuneo per festeggiare con una cena e un breve dopo cena per poi fare rientro a Leinì di nuovo in ritiro in vista della partita con l’Atalanta.
Fanno impressione questi professionisti del calcio. Troppa impressione. Sono dei colletti bianchi del pallone. Peccato che si gioca in undici soltanto perché se solo si potessero fare gli stadi dieci volte più grandi si darebbe lavoro a un bel po’ di gente. Parlano bene ai microfoni. Nessuna polemica, nessuna notte brava. Tutti campo e playstation. Ognuno fa il suo compito, massimo due tocchi come ti insegnano alla scuola calcio e poi subito a scaricare al compagno. Il dribbling lo fa solo Pirlo, finché dura. E così quando vai a giocare col Copenaghen, blasonatissima squadra scandinava, perdi perché loro i danesi sono maestri dell’organizzazione del lavoro. E poi c’è l’allenatore. Sentirlo parlare fa rimpiangere Zoff che non parlava mai. E pure la sua Juve che perdeva ogni tanto ma che però la Coppa Uefa la vinse.

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