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Considerazioni su Matteo Renzi europeo

C’è da sperare che nelle prime considerazioni svolte da Matteo Renzi in Europa l’adozione dell’espressione «direzione giusta», già tipica del lessico togliattiano e dello Stalin che amava dettare ai bolscevichi come parlare tra loro per intendersi e distinguersi dalle altre formazioni politiche, sia stato un lapsus; o, al massimo, il ritorno involontario ad una frase abituale nei comitati centrali o federali del comunismo internazionale.

Non che ci si debba impiccare a certe vecchie parole per farsi intendere, o evitare di ricorrervi per farsi comprendere meglio al volo dagli interlocutori. Ma, specie in politica, come diceva Carlo Levi, le parole sono pietre: ciascuna assume una valenza propria a seconda del mutare di regimi e modalità di comunicazione; e perciò può essere intesa criticamente anche quando, oggettivamente – come potrebbe essere nel caso di Renzi – si tratti di uno sbaglio casuale.

Renzi è andato, fra i maggiori esponenti della politica europea, con l’intenzione di rottamare tradizioni logore, concezioni che non reggono alla realtà tumultuosa del momento (e non soltanto del voto del 25 maggio nei ventotto paesi dell’Eurozona), che meritano approfondite analisi, e non manovrine tattiche. Se si hanno disegni radicalmente riformatori, è meglio – come lo stesso Renzi dice -,parlare come la gente comune. Cioè abbandonare le espressioni compromettenti e vecchie; non lasciarsi prendere dalla foga; ed esprimersi con chiarezza: per non essere equivocato e, invece, venire, se del caso, apprezzato per i propri propositi.

Che sembrano rilevanti e seri. E riguardano il generale mutamento delle idee e dei metodi di attuazione degli indirizzi comunitari. A tutto il vecchio continente, in ebollizione per una sua lunga abitudine ad andare in senso inverso, in modo scorretto e tutt’altro che giusto, rispetto agli interessi volti a sentirsi uniti, va detto che anche noi italiani siamo disuniti, increduli, insoddisfatti di una sovranità dominante e non comunemente accettata; nonché refrattari ad un materialismo monetario concepito in club di banchieri che nessuno conosce, ma di cui si subisce ogni decisione: anche la meno conveniente per una comunità di uomini liberi, non di sudditi di un neoimpero prussiano.

Gli amici di Renzi si compiacciono nell’immaginare il nuovo Sole come rottamatore della vecchia Italia e della vecchia Europa. Ne hanno il diritto, visto il clamoroso e inatteso consenso da lui attratto e che ha letteralmente sconvolto i pensieri correnti nel suo partito, composto di aggregazioni corporative. Ma Renzi, come saggiamente ha detto sin dal momento dello spoglio dei voti veri, ora non è più soltanto il capo del Pd, anch’esso travolto dall’ondata rivoluzionaria e pacifica. Renzi è ora, più degnamente di ieri, il rappresentante di un’Italia che ha bisogno di risorgere per sé e per l’Europa, dove si comincino a sbaraccare le incrostazioni burocratiche e si prenda a fare politica per il bene comune, non per i gruppi finanziari e affaristici che da decenni ci comprimono. Gruppi che sono anche di sinistra, non soltanto di destra.

Ma, attenti a come si parla. Ogni frase e ogni parola vanno ponderate. Non ci si può fare trascinare soltanto dall’entusiasmo. Occorre, al contrario, esprimersi con parole chiare che vogliano dire «pane al pane e vino al vino»: come si cominciò a predicare millenni orsono con semplicità, in un crescente e duraturo consenso.


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