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Ecco perché la campagna #BringBackOurGirls non aiuterà le ragazze in Nigeria

La campagna #BringBackOurGirls sta avendo un grande successo sui social network. Importanti personaggi della politica, della cultura, del cinema e dello sport si sono scattati fotografie con l’appello a favore della liberazione delle 200 ragazze sequestrate dal gruppo terroristico Boko Haram. L’ultima adesione è stata quella della first lady americana Michelle Obama. “Le nostre preghiere sono con le ragazze nigeriane scomparse e i loro familiari. È tempo di #BringBackOurGirls”, ha scritto la moglie di Barack Obama su Twitter.

Alcuni analisti locali prevedono che il sequestro potrebbe durare circa 10 anni, visto il modo di operare dell’organizzazione Boko Haram e la totale mancanza di una trattativa. La comunità internazionale sta collaborando con l’assistenza tecnologica (immagini satellitari ottenute con strumenti americani, ad esempio) e personale addestrato per la negoziazione.

Ma secondo il sito Bloomberg la campagna può fare poco per aiutare le ragazze sequestrate. Da 12 anni, Boko Haram compie atti terroristici in Nigeria. Se anche le ragazze fossero liberate grazie alla pressione dell’hashtag #BringBackOurGirls, la guerra non finirebbe.

L’editoriale di Bloomberg conclude: “Il gruppo, che raggruppa salafiti, nichilisti e criminali comuni si alimenta in un ambiente in cui la povertà è diffusa e la brutalità della polizia e la corruzione dilagano… #BringBackOurGirls è diventato popolare in tutto il mondo, ma la campagna ha avuto origine in Nigeria, dove i cittadini chiedono sempre di più conto al governo delle azioni di Boko Haram. Questo, più di qualsiasi intervento da parte dell’Occidente, sconfiggerà le violenze”.



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