Ha vinto Matteo Renzi più che il Pd, che veleggia sul 40%.
Ha vinto l’energia del presidente del Consiglio che ha avuto la sfrontata ambizione di rottamare da Palazzo Chigi Enrico Letta con un obiettivo: cercare di evitare alle Europee uno smacco per il Pd, che avrebbe avuto un effetto devastante sull’esecutivo, sulla maggioranza di governo e sugli equilibri istituzionali, Colle in primis. Missione compiuta per il segretario del Pd, dunque.
Ha vinto Renzi e ha perso Beppe Grillo. Una sconfitta – se comunque di sconfitta si può parlare visto che il Movimento 5 stelle si attesta comunque oltre il 21% – ancor più sonante: il voto protestatario poteva essere propellente per le Europee, dove sfogare tutti i sentimenti anti austerità e anti tedeschi, senza mettere a repentaglio la speranza innervata da Renzi.
Invece lo sfogatoio europeo non è stato utilizzato per rottamare il premier rottamatore. Merito di Renzi o demerito della premiata ditta Grillo&Casaleggio? Chissà. Non è escluso che l’eclettismo dei Cinque Stelle, oscillanti tra Stiglitz, Weil ed Enrico Berlinguer (invocato da Casaleggio in piazza, venerdì scorso) abbia frastornato vieppiù l’elettorato.
La “legittimazione“ democratica di Renzi a Palazzo Chigi è avvenuta, seppure indirettamente. Il Paese si è affidato al pragmatismo baldanzoso più che alla mera protesta.
Ma un bipolarismo Renzi-Grillo è bislacco. Serve aprire per il bene dell’Italia un cantiere di centrodestra che superi gli attuali movimenti che affollano il fronte moderato, popolare e conservatore. E non basta coccolarsi magari con qualche addizione che, sommando le percentuali di Forza Italia, Nuovo Centrodestra-Udc, Lega e Fratelli d’Italia-An, possa far dire a qualcuno che i moderati messi insieme superano comunque Grillo.
Coccolandosi ancora un po‘, si finisce per addormentarsi o per perire.