Mai vista tanta incertezza da parte dell’establishment politico e finanziario nell’affrontare l’ondata di euroscetticismo. I partiti tradizionali oscillano tra la sicurezza ostentata e le scomuniche violente per i rottamatori dell’Europa e dell’euro. Hanno comunque già perso, perché a Bruxelles non saranno più soli, privati del monopolio della rappresentanza, la chiave magica di una alternanza tanto scontata quanto soporifera. Dovranno stare sulla difensiva, un giorno dopo l’altro: in questa condizione economica e sociale è la condizione peggiore possibile. Un martirio.
PREOCCUPAZIONE CRESCENTE
E non si è mai vista, non solo in Italia, tanta sottaciuta preoccupazione sulle conseguenze di un successo dei diversi movimenti e partiti che non si riconoscono nelle due maggior famiglie politiche europee, il PPE ed i Social-Democratici. I principali timori riguardano le ricadute a breve: i mercati potrebbero reagire molto male al nuovo clima di incertezza facendo precipitare l’intera Eurozona in una crisi simile a quella del 2011.
IL GRIMALDELLO EUROPEO
Se un successo degli euroscettici è percepito come il grimaldello che fa saltare le politiche di austerità e la sostenibilità dei debiti pubblici, c’è sullo sfondo una interazione più profonda con i mutamenti geopolitici in corso: non è chiaro quale è il futuro di una Unione politica europea in piena fibrillazione in un contesto in cui nel mondo musulmano i sistemi statuali tradizionali sono stati collassati e gli Usa cercano di riconquistare una centralità globale, stringendo da una parte la partnership transatlantica (TTIP) con la UE e dall’altra quella transpacifica con i Paesi dell’Asean, isolando Russia e Cina. Di converso, queste ultime hanno interesse ad un assetto multipolare, nella prospettiva della de-dollarizzazione degli scambi internazionali, e ad una Unione europea che non sia solo la carta carbone della Nato: la riprova ne è l’accordo trentennale appena raggiunto tra Mosca e Pechino per la fornitura di gas, che oltretutto riduce di molto la pressione che l’Europa immaginava di poter esercitare su Mosca: le mosse europee per attrarre l’Ucraina nell’alveo occidentale hanno solo fatto ribaltare il tavolo: l’Europa non sarà più il principale mercato di sbocco per il gas russo.
NUOVO EUROSCETTICISMO
L’euroscetticismo sfugge alla categorizzazioni consuete, pesca consensi quasi dappertutto. In primo luogo, non è la connotazione unificante della protesta per le misure di austerità nei Paesi Piigs, che hanno provocato povertà e disagi sociali mai visti dalla fine della guerra. Non ha attecchito né in Spagna, né in Irlanda. Eppure, era lecito attendersi che almeno dal movimento degli indignatos spagnoli nascesse una forza politica volta a contrastare le politiche di austerità. Il fatto è che in Spagna ed in Irlanda, come già accadde in Germania con il crollo dei titoli americani nel 2008, la crisi è stata prevalentemente bancaria ed il debito pubblico è aumentato solo per l’accollo del costo del salvataggio. Non solo la Spagna e l’Irlanda hanno beneficiato di forti sostegni ai loro sistemi bancari da parte della comunità internazionale, ma non erano in discussione squilibri preesistenti dei bilanci pubblici, come invece è accaduto in Grecia, Portogallo ed Italia.
C’è dell’altro, e di ancor più suggestivo, nel quadro delle relazioni che intercorrono tra Germania e Spagna da una parte, e tra Irlanda e Gran Bretagna dall’altra. Tanto l’euroscetticimo non attecchisce nelle prime, tanto è di casa nelle seconde.
IL CASO SPAGNOLO
Per quanto riguarda la Spagna, accadde già che, alla vigilia della guerra franco-prussiana, la Francia si sentisse stretta in una morsa, e non c’è dubbio che anche negli anni scorsi le relazioni politiche e finanziarie tra Berlino e Madrid siano state strettissime e che le operazioni di salvataggio delle banche spagnole siano state ben pilotate dalla Germania. In fondo, sono stati i cittadini europei a pagare il costo del default delle banche spagnole, determinato dal ritiro in fretta e furia dei fondi che le banche tedesche avevano fornito in precedenza. Logico, quindi, che i mercati non percepiscano un grande rischio per Madrid: i fondi per il salvataggio sono arrivati dall’ESM, anche dai cittadini italiani che si sono indebitati per salvare le banche spagnole. Insomma, motivi veri per un euroscetticismo in Spagna non ce ne sono proprio.
VISTI DA BERLINO
La Germania, d’altra parte, in questi anni l’ha fatta da padrona, imponendo la sua ricetta per il salvataggio dell’Eurozona: nessun meccanismo di solidarietà tra aree ricche ed aree meno sviluppate, ma solo deflazione nei Paesi con le bilance dei pagamenti o i conti pubblici in rosso. Con il paradossale risultato che l’Eurozona ora ha una bilancia dei pagamenti in attivo, ma solo per via del crollo dell’import causato dalla deflazione, ed un euro che si rivaluta su dollaro e yuan mettendo in difficoltà gli esportatori europei. In Germania, invece, l’attivo strutturale sull’estero è funzionale alla piena occupazione: il movimento Alternative fur Deutschland, che propone l’uscita della Germania dall’euro, forse riuscirà ad entrare a Bruxelles, ma solo per via della eliminazione della soglia del 3%: è una posizione di bandiera, che serve a coprire la assoluta comodità con cui invece Berlino siede nelle istituzioni europee.
DA IRLANDA E UK
Dell’Irlanda, invece, va ricordato che già nel 2008 aveva addirittura respinto l’adesione al Trattato di Lisbona: Dublino è ontologicamente euroscettica, si limita a sfruttare la appartenenza alla Unione, da una parte per ricevere i fondi strutturali e dall’altra per incassare i proventi fiscali dalle società in cerca di trattamenti fortemente agevolati.
La Gran Bretagna è euroscettica per definizione: già nel dicembre del 2011, quando si voleva imporre il Fiscal Compact e la tassazione delle transazioni finanziarie a tutti i Paesi dell’Unione, non ha avuto paura a rimanere isolata. Si arrivò ad un buffo “Accordo a 26 Paesi”, con il Premier inglese Cameron che mise subito sul tappeto per il 2017 un referemdum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione. Se quindi l’United Kingdom Indipendence Party (UKIP) ha già ricevuto il 16% dei suffragi nelle elezioni europee del 2009, ed ora è accreditato del 20%, non è altro che un segmento di una più profonda distanza di Londra rispetto alle politiche europee: non ha aderito al Fiscal Compact, non partecpa al Fondo salvastati ESM, non soggiace al sistema di sorveglianza prudenziale unificata presso la Bce nè contribuisce al Fondo per la risoluzione delle crisi bancarie: difficile essere più euroscettici di così.
LA CRISI DEI PIIGS
Le crisi nei Paesi PIIGS avevano cause e caratteristiche completamente diverse, così come hanno avuto un sostegno internazionale differenziato: è logico che il grado di euroscetticismo sia completamente diverso. In Grecia, che soffriva di un triplice squilibrio debitorio, delle finanze pubbliche, dei conti con l’estero e dei privati verso le banche, il commissariamento della Troika è stato pesantissimo: la povertà è alle stelle e la rabbia popolare ha portato alla polarizzazione della protesta, a destra ed a sinistra, con la nascita dei movimenti di Alba dorata e dalla lista Tsipras. Anche in Portogallo, dove il riaggiustamento era dipeso prevalentemente dagli squilibri verso l’estero, le politiche di austerità hanno portato alla fame larghi strati della popolazione, che ha reagito al violento aumento della tassazione aumentando il sostegno ai partiti di sinistra estrema e creando il movimento “Que se lixe a Troika!”. Anche in questo caso, sarebbe difficile essere più espliciti.
SENZA COLORE POLITICO
L’Euroscetticismo non è un fenomeno di destra oppure di sinistra; non riguarda solo chi soffre il disagio della disoccupazione ma anche chi si sente privato della libertà democratica. Mette insieme nel mirino l’eurocrazia bruxellese e le tecnocrazie nazionali che spogliano la politica del suo ruolo, ma soprattutto un governo della moneta europea che preclude tassativamente alla Bce di adottare politiche a favore della crescita e della piena occupazione. La sensazione è che gli euroscettici condividano un disagio ed un obiettivo, e che questa sia la loro grande forza: se da una parte non si sentono più cittadini nel proprio Stato, persone capaci di determinare con il voto politico nazionale il proprio destino, dall’altra hanno ben chiaro che solo conquistando finalmente voce in Europa possono recuperare la sovranità persa.
Non nascondiamoci dietro un dito: finora, il Parlamento europeo è stato un poltronificio, buono per politici trombati, per un fine carriera dignitoso, per un sabatico bruxellese senza infamia e senza lode. Gli euroscettici no, non si arrenderanno a rimanere stretti nella morsa, fra la Commissione ed il Consiglio dei Ministri.
UNO SHOCK VIOLENTO
Se gli euroscettici dovessero avere un gran successo, lo shock sui mercati finanziari potrebbe essere violento, ma di brevissima durata: si ballerebbe giusto una settimana, fino alla prima riunione della Bce già programmata per il 5 giugno, quando si deciderebbe quanto doveva essere normale già da anni: erogare liquidità in abbondanza, per dare sostegno all’economia reale ed alla occupazione. E’ questa l’unica strada possibile per salvare insieme non solo l’euro, ma soprattutto l’Europa politica dall’implosione. Se non si agisse subito sarebbe pure peggio, perché non resterebbe che attendere gli eventi, la prossima estate.
UNA NUOVA BCE?
Sei anni dopo la crisi del 2008, l’Europa prenderebbe la stessa decisione che fu assunta negli Usa nel 1977 con la modifica dello Statuto della Fed, dopo la lunga stagnazione seguita alla non convertibilità del dollaro nel 1971: la moneta tornerebbe ad essere, anche in Europa, uno strumento per la creazione del benessere collettivo e non quello per la accumulazione della ricchezza da parte di pochi. Anche i Trattati verrebbero riscritti, e l’Europa forse tornerà alle origini, una Comunità aperta a tutti, ad Est come a Sud, verso la Russia ed il Mediterraneo.
Inutile mettere la testa sotto la sabbia: nel 2017 si tornerà a votare, ci saranno il referendum in Gran Bretagna e le presidenziali in Francia. In Italia si voterà anche prima: per avere paura del futuro, è troppo tardi.