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Expo, come smantellare la “società della bustarella”

Beppe Grillo si starà sfregando le mani. Mancano solo due settimane alle elezioni europee, ed è facile prevedere che il verminaio tangentizio scoperchiato nei lavori per l’Expo milanese -unito al “caso Scajola”- gonfierà le vele del suo movimento.

Ha comunque ragione Gian Antonio Stella che, sul Corriere della Sera, si stupisce di chi si stupisce. Perché ci troviamo di fronte, più che a un ritorno al passato, a un eterno presente. Un eterno presente che chiama in causa, purtroppo, il futuro immediato dell’Italia.

Quindici anni fa un sociologo di rango, Carlo Trigilia, definì la sua condizione in termini di “dinamismo privato e disordine pubblico”. Dove, a ben vedere, il secondo era il presupposto del primo. Da allora il disordine pubblico è cresciuto, mentre il dinamismo privato si mescola con un tasso di illegalità da terzo mondo.

Ma lasciamo pure stare i calcoli astrusi su quanto ci costa la corruzione domestica. La verità è che la “società della bustarella” è figlia di uno schieramento antimeritocratico e anticoncorrenziale egemone, che spesso riesce, in cambio del proprio consenso, a imporre l’impotenza della politica. In fondo, imbroglioni e statalisti sono – per così dire – “compagni di merende”.

Inoltre, mi sfugge quale sia la differenza – da un punto di vista etico – tra chi corrompe e chi si lascia corrompere, nella sfera pubblica come in quella degli affari. A meno che un rozzo machiavellismo, secondo cui il fine giustifica sempre i mezzi, non porti a concludere che rubare per il proprio tornaconto personale è più riprovevole che rubare per il proprio partito. Semmai è vero il contrario, perché nel secondo caso – come osservò una volta Norberto Bobbio – si traligna il fine e si perverte il mezzo.

Mettiamo però da parte le questioni di filosofia morale, e veniamo al nocciolo del problema. C’è tutta un’intellettualità che trabocca moralismo la quale, in questi anni, ci ha martellato con una lettura della corruttela dilagante nella vita repubblicana vista come il frutto di un sovvertimento gerarchico tra democrazia e mercato. Se così fosse, resterebbe tuttavia ancora da spiegare come una società civile malata possa produrre una classe politica sana; oppure, come mai una una società civile virtuosa non riesca ad affrancarsi da una classe politica disonesta.

La realtà è che nel nostro Paese Stato e società sono tra loro talmente intrecciati che spesso non è facile distinguerli. Forse dai professionisti del “dagli alla casta” non sarà considerata  esaltante, ma la prospettiva di un cambiamento è oggi legata a leggi e riforme che smantellino il potere delle burocrazie, riducano ogni posizione di rendita e ingaggino una lotta senza quartiere contro ogni suggestione protezionista e dirigista.

Michele Magno  



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