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Feltri svela i rapporti amichevoli tra Prodi e Berlusconi

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo stralci dalla voce biografica riguardante Romano Prodi tratta dal libro “Buoni e cattivi” (Marsilio, 544 pagine, 19,50 euro), dizionario biografico scritto da Vittorio Feltri con Stefano Lorenzetto

Non è un politico da quattro soldi, di quelli che ti fanno causa per un nonnulla. Invecchiando, mi pare che abbia anche addolcito taluni tratti viperini del suo carattere. Adesso sembra davvero placido come un vecchio parroco di campagna. A vederlo in televisione, suscita tenerezza. Considerato il livello degli uomini di sinistra che gli sono succeduti, talvolta mi coglie persino un acuto rimpianto. Meglio lui di tutti gli altri messi insieme. Non per nulla è stato l’unico capace di fottere due volte Silvio Berlusconi nelle urne.

Ancor oggi mi viene rinfacciata la prima pagina di “Libero” del 22 febbraio 2007, in cui, sotto il titolo «Intanto brindiamo», affidai al vignettista Benedetto Nicolini, in arte Benny, il compito di salutare la crisi del suo secondo governo: un tappo di champagne, con la testa del Cavaliere, sparato in direzione delle terga di Prodi dipinte a mo’ di mortadella. L’unico a non dolersene fu l’interessato. Mi giudicano volgare. Invece il Berlusconi disegnato tutti i mesi da Altan sulla “Repubblica” nell’atto d’infilare un ombrello nel culo del primo che passa, quello sì che è molto signorile. Ah, l’intellighenzia nostrana!

Mi biasimano anche per aver osato avanzare lo scherzoso sospetto che la chioma corvina del Professore di Bologna, più consona a un avanzo di balera che a un seguace di don Dossetti, potesse essere frutto del frequente ricorso al colorante Testanera. Si scomodò financo il portavoce del premier, Silvio Sircana, quello che poi venne fotografato mentre abbordava un trans per strada. «Mi dispiace deludere Feltri che le ha tentate proprio tutte le vie della malizia, compresa quella dei capelli tinti, ma ha sbagliato anche questa volta: Romano non si tinge», dichiarò alla “Stampa”. Fu chiamato a testimoniare Francesco Scigliano, proprietario della storica bottega Gino il barbiere, nel cuore di Bologna, che dettò al settimanale “Grazia” un’impegnativa dichiarazione, anticipata dall’agenzia Italia: «Smentisco che i capelli di Prodi siano tinti, me ne accorgerei. Semmai li ha aspri, molto difficili. Tendono sempre a stare dritti». Ecco, ora siamo tutti più tranquilli. Almeno qualcosa che rimanga dritto nonostante l’avanzare dell’età.

Prodi non è mai stato raccontato – bene – da nessuno. Per forza. Non esiste un solo Prodi. Ne esistono tanti, uno diverso dall’altro, tutti interessanti. Come si fa a descrivere un uomo così complesso e variegato? Ci provo nella speranza di fornire un contributo alla comprensione del personaggio. Agli inizi degli anni Ottanta, il Professore collaborava al Corriere della Sera. Articoli di carattere tecnico come si addiceva a un docente di economia. Finivano sul mio tavolo, poi in prima pagina. Editoriali, devo ammettere, ben scritti e ben argomentati. Concetti limpidi, prosa asciutta. Dicevo tra me e me: finalmente uno che non abbia idee bolsceviche e sappia esprimersi in modo civile. Non c’era mai bisogno d’intervenire per raddrizzargli la sintassi o le virgole. Le frasi, ben costruite, correvano via spedite come avemarie e centravano sempre il bersaglio. (…)

Confesso: il giovane professore emiliano mi piaceva da morire, uno dei pochi nel “Corriere” di allora in grado di rompere gli schemi conformistici adottati dal quotidiano di via Solferino per opportunismo e necessità di sopravvivenza in un Paese sconvolto dal partito armato e votato alla rassegnazione. Sennonché la firma di Prodi sulle colonne corrieresche non durò a lungo. Il brillante fondista infatti fu obbligato a dimettersi perché chiamato a più alti e importanti incarichi nientemeno che da Giulio Andreotti, presidente del Consiglio: ministro dell’Industria. Mai avrei immaginato che, a distanza di qualche lustro, quel professorino di provincia convinto assertore del libero mercato sarebbe stato il traghettatore dei comunisti al governo, il premier appoggiato dalla coalizione più innaturale della storia patria. E invece è accaduto.

Nel frattempo Prodi – anticomunista razionale, non dico viscerale perché è bene astenersi dall’entrare nelle viscere di una mortadella – ha fatto un percorso non breve (che lo ha portato di qua e di là, non soltanto all’Iri), riuscendo a trasformare in nemici gli amici ai quali aveva fatto tanti favori. Non sarò prolisso. Narro un solo episodio ma di valore simbolico. Tutti gli italiani sono convinti che Prodi e Berlusconi siano come il cane e il gatto, inconciliabili per questioni genetiche. Falso. I due erano in perfetta sintonia, si stimavano profondamente, s’incontravano, si parlavano. Tant’è vero che un giorno – correva il 1987 – Romano telefonò a Silvio: scusa, se ti càpita di venire a Roma, passa a trovarmi che ti vorrei chiedere un consiglio, però mi raccomando, massima riservatezza. Silvio sfogliò l’agenda e rispose: mercoledì sono da te. Ciao, ciao.

Di parola e puntuale come sempre, nel giorno convenuto il Cavaliere bussò all’uscio del presidente dell’Iri. Baci e abbracci. Mortadella arrivò subito al dunque: come sai, l’Iri ha in carico la Rai, che è una schifezza; ci smena un sacco di soldi, e a noi tocca ripianare i bilanci; siccome ne abbiamo piena l’anima di foraggiare l’emittente pubblica, ti prego di aiutarmi; tu che con le televisioni hai costruito un impero, come agiresti al posto mio? Berlusconi scoppiò a ridere e scosse la testa: caro Romano, la ricetta è semplice, evitate polpettoni indigesti, trasmissioni che soddisfino solo i clienti della politica; smettete di mandare in onda programmi stucchevoli che vanno a genio a una minoranza e inondate il video di spettacoli d’intrattenimento, telefilm divertenti, telenovele, cabaret, insomma cercate di assecondare i gusti delle masse; avrete successo, vi riempirete di pubblicità e i passivi scompariranno come per incanto.

Un consiglio del genere avrei potuto darlo anch’io, magari al telefono, senza scomodarmi a raggiungere la capitale. Comunque sia, Prodi annotò e, soddisfatto, ringraziò. Il Cavaliere non voleva sprecare l’occasione e, se non altro per rendere remunerativa la sua trasferta, disse: anch’io, caro amico, devo chiederti un favore; ti spiego, la mia azienda va bene, è florida, cresce di giorno in giorno, tuttavia, sarà che sono troppo impegnato nella costruzione di Milano 3, sarà che l’espansione necessita di continui finanziamenti, è giunto il momento di avvalersi di uno specialista nel controllo della spesa; intendiamoci, Fedele Confalonieri è bravo, gli altri dirigenti sono all’altezza, non ho di che lamentarmi, però, se tu m’indicassi il nome di qualcuno che sia uno spietato controllore dei conti, te ne sarei molto grato.

Prodi esibì un sorriso dei suoi, a culo di gallina, e con gli occhietti luccicanti annuì: forse ho la persona giusta per te, lavora qui all’Iri, un tipo pignolo, uno che ai numeri dà del tu, si chiama Alfredo Messina, è direttore centrale per la pianificazione e il controllo. Berlusconi assunse Messina su due piedi come amministratore delegato. Il manager non tradì le attese. Però la sua partenza per Milano fece incazzare la metà dei dirigenti dell’Iri: ma che diamine, ne avevamo uno bravo, instancabile, un fuoriclasse che parava il didietro a tutti noi, e tu Romano lo vai a regalare al Berlusca? E Prodi, sfoggiando un altro dei suoi sorrisini da mandarino cinese: mica potevo tirare un pacco al povero Silvio. (…)

A questo punto ci si domanda: che cos’è accaduto di tanto grave fra il Professore e il Cavaliere da incrinare un rapporto così idilliaco e da condurli a essere agli antipodi l’uno dell’altro? Berlusconi non è mai cambiato. Chi ha simpatia per lui non esita ad affermare: è un fenomeno, e se si occupasse dei cazzi nostri con la stessa premura con cui si occupa dei suoi, sarebbe uno statista straordinario. Invece gli stanno a cuore solamente i suoi. Una fortuna per lui; un disastro per noi. Temo che sia molto di più d’una battutaccia.

Quanto a Prodi, la sua metamorfosi è un dato oggettivo. Da anticomunista si è trasformato in simpatizzante della sinistra massimalista, di cui peraltro non poteva fare a meno per resistere a Palazzo Chigi dopo esserci giunto grazie a essa. Era un lucido economista legato ai princìpi del libero mercato ed è diventato un tifoso irriducibile dello statalismo. Morto, dopo un coma infinito, Beniamino Andreatta, suo mentore, sua guida, suo senno, il Professore ha perso la bussola, non ha più avuto un referente di fiducia. (…)

Da presidente dell’Iri, Prodi volle incontrarmi nel suo ufficio milanese di piazza Meda. Salimmo sul terrazzo, da dove m’illustrò quello che aveva in mente di fare per il capoluogo lombardo: là bisogna buttar giù tutto, lì tireremo su la nuova Fiera. Un uomo di grandi visioni. Poi, da premier, s’è rivelato solo l’ometto delle tasse. Cominciò con l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, in pratica un balzello dissennato sulle nuove assunzioni, che punisce quelle poche imprese ancora disposte ad ampliare gli organici. Un incentivo alla disoccupazione. Poi fu la volta dell’eurotassa sullo stipendio, durata per quasi un anno. Tanto per scendere dalle 12 stelle che campeggiano nella bandiera dell’Unione europea, a me questa Ue del menga costò 30 milioni di lire. Prodi aveva promesso di restituirci i soldi non appena ottenuto il lasciapassare per Bruxelles. E invece fece pari e patta istituendo un nuovo tributo. Da strozzarlo.

Però, tutto sommato, volgendomi all’indietro ho l’impressione che gli anni in cui abbiamo creduto di essere più infelici e tartassati resteranno nella memoria come i migliori della nostra vita, e non solo perché ce lo assicura Renato Zero. Se non altro eravamo tutti più giovani. A proposito di vecchiaia: il modo in cui il Partito democratico, con in testa Massimo D’Alema, il 19 aprile 2013 ha fatto fuori l’antico sodale, che ambiva da una vita a salire sul Colle più alto, grida ancora vendetta al cielo. Sparargli nel didietro il tappo Napolitano, dopo averlo inutilmente illuso che il Quirinale spettasse a lui… Ma che modi sono?
Comunque sono quasi certo di rivederlo in corsa per la presidenza della Repubblica alla prossima occasione. Sempre meglio la Mortadella di un salame. Voto: 6

copertina Buoni e cattivi

Le foto di Umberto Pizzi con Romano Prodi:



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