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Gianroberto Casaleggio e Enrico Berlinguer. L’astruso eclettismo del guru a 5 stelle

GIANROBERTO CASALEGGIO

Non bastavano gli anarchici e i libertari, i pacifisti e gli ambientalisti di ogni tendenza. Non bastavano il keynesiano Joseph Stiglitz e il neoluddista Jeremy Rifkin, il teorico della decrescita Serge Latouche e la mistica Simone Weil. Da ieri, anche il comunista Enrico Berlinguer è entrato nel pantheon dei pentastellati.

Più che indignarsi, viene da sorridere. Quando Gianroberto Casaleggio ha invitato la folla di Piazza San Giovanni a scandire il nome del segretario del Pci (perché “uomo onesto”) con ogni evidenza intendeva sbeffeggiare il Pd di Matteo Renzi, e magari sottrargli il voto di qualche suo elettore ancora indeciso. C’è però qualcosa di più, che riguarda la fisionomia politico-culturale del M5S.

In un’intervista al Daily Mail di qualche tempo fa, il suo guru non aveva esitato a paragonare – quanto ad ascesi esistenziale – la propria residenza di campagna al capanno nei boschi di Walden di Henry David Thoreau (1817-1862), il filosofo americano della disobbedienza civile. La cito per significare la flessibilità ideologica del movimento-partito di Beppe Grillo, che tuttavia non deve stupire.

Sono trascorsi esattamente settant’anni da quando Guglielmo Giannini fondò la rivista “L’Uomo Qualunque”, a cui si deve la nascita di un termine che ancora oggi sta a indicare il disprezzo generale per la politica e per i politici, giudicati avidi, corrotti e quindi nemici del popolo.

Antenato nobile del grillismo, il qualunquismo è stato definito da Silvio Lanaro (“Storia dell’Italia repubblicana”, Marsilio, 1993) “come disponibilità a cogliere tutte le occasioni, come supremazia dei ghiribizzi del gusto sui sudori dell’intelletto, come libertà di pensiero disancorata da categorie culturali troppo impegnative ed esigenti, come indisciplina sociale screanzata e popolaresca, come assimilazione delle fandonie del passato alle frottole del presente, come nostalgia di un senso comune spazzato via dall’invadenza delle visioni del mondo”.

Come recita l’Ecclesiaste, insomma, “Nihil sub sole novum”.

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