Skip to main content

Il centrodestra nascerà oltre gli attuali centrodestri…

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo di Federico Punzi che si inserisce nel dibattito a più voci avviato su Formiche.net sul futuro del centrodestra in Italia dopo il risultato delle elezioni europee del 25 maggio

Oltre che per il Pd – che grazie a Renzi per la prima volta si dimostra partito a vocazione maggioritaria e post-ideologico, facendo breccia nell’area moderata e conquistando il centro politico dell’elettorato – sia pure per motivi opposti il voto per le Europee 2014 rappresenta un anno zero anche per il centrodestra. Frantumato, litigioso e senza leadership sembra aver toccato il fondo. E sembra un suicidio collettivo meticolosamente preparato dagli ex Pdl (al netto degli inevitabili esiti delle manovre interne ed esterne del 2011): allarmanti non sono tanto le percentuali, quanto la tipologia dell’elettorato perduto dopo due decenni, cioè la parte più dinamica e produttiva del paese.

Sembra prefigurarsi un sistema tripolare ma di fatto bloccato, con un partito di centrosinistra e di governo pienamente legittimato, com’era la Dc (oggi il Pd), un partito anti-sistema (Grillo), che raccoglie frustrazioni e residui ideologici di sinistra e destra, e una galassia litigiosa e rancorosa di resti del centrodestra berlusconiano, in cui Forza Italia rappresenta un perno ancora rilevante elettoralmente ma sul filo della marginalità politica. In questo schema, avvantaggiandosi della frantumazione del centrodestra e del “pericolo Grillo”, il Pd potrebbe ritrovarsi sempre al governo, sia che l’elettorato si sposti a sinistra, ovviamente, sia che si sposti a destra (conservando la maggioranza relativa e, se proprio necessario, aprendo agli spezzoni del centro “presentabili”).

Esiste ancora un centrodestra italiano? Se non esiste più elettoralmente, di certo esiste come pluralità di realtà sociali e culturali nel paese. Ma ha ancora senso esercitarsi nella somma delle cifre elettorali dei partiti rimasti? Quella somma, il 31%, è il segno di una sconfitta sì netta ed inequivocabile, ma all’apparenza non senza appello. Eppure, bisogna chiedersi se può rappresentare o meno una base da cui ripartire. Di cosa è fatta? Di un generoso voto di testimonianza confermato a Silvio Berlusconi (quasi il 17%). Di un voto altrettanto generoso, ma identitario, per Fratelli d’Italia. E infine di un voto per un progetto velleitario, Ncd, che al contrario degli altri due, non si accontentava di una mera resistenza o diritto di tribuna, ma come dice il nome stesso aspirava a fondare un nuovo centrodestra, quindi a sostituirsi a quello vecchio e a rottamare Berlusconi, ma che pur potendo contare su 4 ministeri pesanti non è riuscito ad arrivare al 3% (l’1,5 almeno bisognerà riconoscerglielo a Casini!), e rischia di avviarsi verso la stessa mesta sorte dei finiani.

Ci sono, d’altra parte, 7 milioni di astenuti in più rispetto alle politiche del 2013, 10 milioni rispetto a quelle del 2008, e quasi 4 milioni rispetto alle europee del 2009. Insomma, sembra esserci un popolo di centrodestra che aspetta una nuova offerta e una nuova leadership. Il centrodestra italiano esiste proprio perché non è una somma di percentuali elettorali. Il nuovo centrodestra, tutto da costruire elettoralmente, sta nelle ragioni di chi è rimasto a casa, non nelle frattaglie di ceto politico da 3/4%. Va senz’altro coltivato un approccio “fusionista”, ma non tra quelle frattaglie che non rappresentano più nessuno. Sarebbe un errore reagire demonizzando Renzi come per due decenni la sinistra ha demonizzato Berlusconi, e sarebbe un errore anche tentare di rimettere insieme le frattaglie di un ceto politico dal 3/4%. Bisogna al contrario superare il concetto dell’aggregazione di sigle, al quale per troppo tempo è rimasto abbarbicato anche l’Ulivo/Pd anziché cercare una vocazione maggioritaria.

Bisogna anche tenere sempre presenti alcune condizioni, alcune riguardanti l’assetto del sistema politico altre l’identità, alle quali può ancora esistere un centrodestra in Italia: bipolarismo/presidenzialismo, approccio fusionista, centralità di temi come tasse e giustizia, europeismo critico. Oltre che di contenuti, ovviamente il problema è di credibilità e ricambio di leadership, se si vuole recuperare la parte economicamente e socialmente più dinamica del paese. Puoi pure dire le cose più giuste, ma sei sempre quello che soprattutto durante l’esperienza di governo 2008-2011, con la politica economico-sociale affidata al duo Tremonti-Sacconi, ha tradito le promesse di rivoluzione liberale. Primo passo, quindi, riconoscere l’errore, segnare una cesura netta con quell’esperienza e rinnovare in modo aperto la leadership.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter