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Il partito di Renzi, la destra e la sinistra

Come ha spiegato Giovanni Sartori nella “Democrazia in trenta lezioni” (Mondadori, 2008), nell’elettorato il centro c’è sempre. È costituito dagli elettori intermedi che passano, o possono passare, da uno schieramento a un altro (il cui numero, sia detto per inciso, è in costante aumento da circa un decennio). Un partito di centro, invece, viene definito da una sua destra e da una sua sinistra.

Questa grande semplificazione binaria, inoltre, non dipende dal sistema di voto, né richiede necessariamente che esso sia maggioritario. Infatti, quasi tutte le democrazie dell’Europa occidentale sono insieme proporzionaliste e bipolari.

Ebbene, il risultato ottenuto nelle urne dal Pd deriva da una molteplicità di fattori su cui in queste ore si stanno versando fiumi d’inchiostro, e su cui qui non torno. Mi limito a sottolineare che in quel risultato si riflette una scelta precisa di Matteo Renzi:  la ricerca del più ampio consenso possibile da parte degli interessi sociali che si riconoscono nel centro. Ricerca premiata il 25 maggio, e che è il vero tratto distintivo della strategia politica del premier.

Se le parole hanno un senso, poi, cos’è un partito a vocazione maggioritaria se non un partito tendenzialmente “pigliatutti”? Senza dimenticare che nelle stesse culle della socialdemocrazia del Vecchio continente la centralità laburista ha ceduto gradatamente il passo alla centralità di coalizioni sociali largamente inclusive dei ceti medi

A ben vedere, i guai sono cominciati quando i partiti riformisti – nell’ansia di “pigliare tutti”-  hanno rinunciato a un forte radicamento nella realtà del lavoro salariato. E chi in Italia non riesce a rappresentare adeguatamente le aspirazioni e i bisogni di quella realtà, che riguarda pur sempre oltre i due terzi degli occupati, non va da nessuna parte.

A questo punto, domando a tutti coloro che “rosicano” per il successo del Pd e che straparlano di resurrezioni della Dc sotto mentite spoglie: a loro avviso, Renzi questo l’ha capito oppure non lo ha capito? Come recita un vecchio motto, chi tace dovrebbe acconsentire (anche Susanna Camusso, che non è parsa molto ciarliera sulle ragioni di quel successo).



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