Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali
L’accordo intrapalestinese siglato fra Fatah e Hamas per un governo di unità nazionale e la convocazione di elezioni di qui a sei mesi ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica, ma è difficile dire se sia un evento destinato ad avere un seguito.
Di primo acchito si può pensare che l’accordo sia il frutto del considerevole indebolimento che entrambe le organizzazioni politiche hanno subito nell’imprevedibile corso delle rivoluzioni del 2011. La riconciliazione dà l’impressione di essere l’unione di due debolezze, nel tentativo di uscire ciascuno dal vicolo cieco in cui si è venuto a trovare.
In questo vicolo cieco Hamas – che ha potere sulla striscia di Gaza – ci si trova per le divisioni che la pratica di governo ha fatto sorgere all’interno dell’organizzazione e le forti resistenze che ha incontrato presso una buona parte dell’opinione pubblica di Gaza. Ma ancor più per la piega che hanno preso gli eventi nel mondo arabo.
All’inizio, l’ascesa al governo della Fratellanza egiziana in aggiunta al sostegno già provveduto dal Qatar, aveva aperto ad Hamas (i Fratelli Mussulmani palestinesi) una larga prospettiva di rafforzamento. Successivamente, l’estromissione dei Fratelli Mussulmani da parte dei militari egiziani, l’interdetto che l’Arabia Saudita ha lanciato contro i Fratelli, dichiarandoli dei terroristi, e l’emergere di una forte alleanza fra Egitto e Arabia Saudita li ha messi con le spalle al muro.
Da un lato, tutto ciò indebolisce il sostegno del Qatar e l’aiuto che varie fonti, private e meno, del Golfo gli fanno arrivare. Dall’altro la lotta che i militari egiziani hanno iniziato al terrorismo e all’opposizione beduina nel Sinai è cominciata con la distruzione di gran parte dei tunnel che fin dalla creazione dell’emirato di Gaza sono serviti a rifornirlo di armi, vettovaglie e prodotti di ogni genere. Nel corso dell’ultimo anno, Hamas si è quindi ritrovata politicamente e finanziariamente isolata.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.