L’inquinamento e l’Ilva, l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), e il difficile rapporto tra industria e ambiente in Italia. Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente che sul grande siderurgico di Taranto ha speso tanto del suo mandato portando sulle spalle un dossier a dir poco pesante, traccia una linea rossa e ridisegna la vicenda partendo da un commento sulla memoria legale che l’avvocato dell’Ilva (a cui sembra sia stato revocato il mandato) ha depositato al Tar di Lecce, passando per l’idea che se si fosse continuato a lavorare all’Aia ora le cose andrebbero meglio, per finire sulla mancanza in Italia di un meccanismo di validazione dei dati scientifici.
A TARANTO SI E’ PERSO UN ANNO
“C’è un po’ di confusione – osserva Clini – il ricorso al Tar ripropone un’attitudine dell’azienda al ricorso contro le Amministrazioni che si era interrotta quando io, all’inizio della procedura di Aia chiesi a Bruno Ferrante, presidente di Ilva – spiega l’attuale direttore generale del dicastero di via Cristoforo Colombo – di ritirare tutti i contenziosi. Cosa che loro fecero. Ora appare quantomeno singolare che il commissario straordinario abbia chiesto un nuovo ricorso per poi non riconoscerlo”. Clini è chiaro e senza troppi giri di parole dice quello che pensa: “Ilva ha accettato il piano degli interventi previsto dall’Aia il 15 novembre 2012 : credo che se l’Ilva avesse continuato a lavorare sull’applicazione dell’Aia in condizioni di ‘normalità’ le cose ora a Taranto andrebbero meglio. Invece, considerato che la tempistica di Aia è stata rimodulata e posticipata dopo un anno di gestione commissariale, abbiamo perso tempo, più di un anno, e risorse economiche”.
PRODUZIONE E INQUINAMENTO
“La vicenda Ilva legata alla produzione industriale e all’inquinamento è ancora lungi dall’essere conclusa – afferma l’ex ministro del governo Monti – Sono ancora molti i riscontri che vanno fatti. E’ chiaro che l’Ilva ha inquinato ma non tutto l’inquinamento di Taranto può essere fatto risalire al siderurgico. In verità la situazione è molto più problematica: li’ c’è infatti l’Ilva, la raffineria, la cementeria, l’arsenale navale. Insomma una molteplicità di sorgenti inquinanti, ed è per questo che è spesso difficile trovare una relazione di causa-effetto tra un singolo fattore inquinante e le malattie, se non per specifiche fonti professionali o ambientali”.
Inoltre va ricordato che “a Taranto l’eliminazione o la riduzione delle sostanze pericolose nell’ambiente è stata molto più lunga di quella che avrebbe dovuto essere, a causa soprattutto dei ritardi e delle carenze delle amministrazioni competenti, sia a livello regionale che locale. Voglio ricordare per tutte la vicenda del risanamento ambientale del quartiere di Tamburi, cresciuto a ridosso dello stabilimento: le risorse stanziate per il risanamento del quartiere Tamburi ( 49,4 milioni di euro) il 3 luglio 2007, sulla base di un progetto di Regione e comune, sono state successivamente destinate ad altri progetti con una deliberazione della giunta regionale del 2 ottobre 2007”.
IL DIFFICLE RAPPORTO INDUSTRIA E AMBIENTE
Da Ilva a Porto Tolle fino a Vado Ligure, in Italia è ancora possibile fare industria salvaguardando anche le ragioni dell’ambiente? Una domanda alla quale Clini risponde con ‘vera’ semplicità: “Siccome l’Italia è l’Europa e in Europa si può fare, c’è la possibilità anche da noi”. Ma in Italia manca qualcosa. Le molte situazioni di conflitto tra ambiente e industria messe in evidenza dalle iniziative della Magistratura sono sostenute da valutazioni tecniche richieste proprio dalla Magistratura inquirente a periti, ovvero a esperti che forniscono gli elementi tecnici per le decisioni della stessa Magistratura. “Nei casi citati, come in altre situazioni, le perizie affrontano tematiche e fanno riferimento a procedure di valutazioni ‘non usuali'”, rileva Clini. In due parole, quello che servirebbe è “una valutazione terza”. Clini si spiega meglio: “I contenuti delle valutazioni tecniche, che rientrano nei poteri delle autorità inquirenti che non si discutono, dovrebbero essere verificati da entità terze: dello stesso tipo dei ‘Referee Committee’, che valutano la consistenza scientifica dei contenuti delle pubblicazioni”.
Questa funzione ‘terza’ non dovrebbe essere assicurata dagli enti nazionali di ricerca, a cominciare dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e Istituto superiore di sanità (Iss)? “Purtroppo in molti casi Ilva compresa – conclude Clini – come ho ricordato nella mia audizione al Senato del 16 luglio 2013, i funzionari di queste istituzioni sono stati ‘reclutati’ come periti di parte dalla Magistratura inquirente, e di conseguenza è stata compromessa la loro funzione istituzionale di garantire la terzietà anche nelle controversie giudiziarie”.