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Ilva, la memoria legale che nega l’inquinamento

Il sito Ilva di Taranto non sarebbe inquinato e per questo, ma non solo per questo, l’area del grande siderurgico jonico non dovrebbe essere un Sin (Siti di interesse nazionale), ovvero zona da bonificare. E’ quanto sostiene la memoria difensiva che i legali dell’Ilva hanno inviato al Tar di Lecce (in vista dell’udienza pubblica fissata per il 5 giugno) contro buona parte dei ministeri dello Stato, a cominciare dal ministero dell’Ambiente fino alla presidenza del Consiglio, e tutta una serie di enti e amministrazioni locali a vario titolo coinvolte (tra cui la Regione Puglia, il comune di Taranto e quello di Statte).

LA DENUNCIA DEI VERDI

Il quadro non è semplice da descrivere ma quello che colpisce – a detta del leader dei Verdi, Angelo Bonelli – è che la memoria sia stata “sottoscritta dal commissario straordinario Enrico Bondi” ed affidata all’avvocato Francesco Perli che è “sottoposto ad una richiesta di rinvio a giudizio per associazione a delinquere per il disastro ambientale e sanitario di Taranto”. Per Bonelli è “doppiamente vergognoso” il comportamento di Bondi: primo perché “presenta ricorsi come faceva la famiglia Riva”; secondo perché “un commissario nominato dal governo presenta un ricorso contro un atto del governo stesso”.

TESTO NON CONDIVISO

Ma il subcommissario all’Ilva, Edo Ronchi, smentisce che “Bondi abbia mai sottoscritto niente” e che anzi “il testo della memoria non è stato assolutamente ‘condiviso'”. Perdipiù il commissario Bondi avrebbe revocato il mandato di legale dell’azienda all’avvocato Perli. Ronchi è chiaro: “Figuriamoci se avessi mai potuto permettere una cosa del genere. Ha fatto bene Bondi a revocare l’incarico”. Da quanto si apprende infatti Bondi starebbe lavorando con i suoi legali per la revoca e anche per trovare il modo di non riconoscere la memoria depositata.

LA MEMORIA

Effettivamente dalle 34 pagine della memoria emerge la volontà di contrastare alcune accuse scompaginando però, e in certo senso contraddicendo, tutto il lavoro fatto finora fino ad arrivare a negare l’esistenza di una situazione così grave come invece viene descritta. Tra le cose più evidenti, il fatto che siano contestate le prescrizioni sulla bonifica degli enti locali, parlando di richieste “sempre più onerose ed eccessive” che hanno l’obiettivo di “alimentare ingiustificatamente il business ambientale a spese dell’operatore economico di turno”. Oppure quando si dice che “il sito Ilva non è contaminato da diossina e furani”. Ed ancora, più avanti, ritorna sul ‘business ambientale’: riferendosi ad “una campagna dilatoria e vessatoria nei confronti di Ilva” da parte delle amministrazioni, nella memoria si parla – a questo proposito – di “un macroscopico sviamento di potere perché solo apparentemente si invoca la tutela dell’ambiente, in realtà, oggettivamente si estende il business dell’ambiente o addirittura si persegue la finalità inibitoria di qualsiasi attività industriale”. Ed è per questo che – è scritto nel testo depositato – “l’aspetto paradossale e generale dell’intera vicenda è che gli enti locali (…) hanno proposto azioni risarcitorie miliardarie”. Viene poi detto a pagina 28 che “la società (…) ha fatto tutto quanto le era possibile per poter realizzare gli interventi di adeguamento del proprio stabilimento e le difficoltà frapposte alla realizzazione dei detti interventi, la pretesa della preventiva ‘liberalizzazione’ delle proprie aree ed i maggiori e ingiustificati oneri richiesti anche con i provvedimenti impugnati sono, a nostro parere, la prova del grave sviamento di potere”.

IL PIANO AMBIENTALE E QUELLO INDUSTRIALE

Intanto Bondi e Ronchi continuano a lavorare sulla riqualificazione e l’adeguamento tecnologico degli impianti. Dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto di approvazione del Piano ambientale ci sono infatti 30 giorni per la presentazione del Piano industriale.

I TRE PUNTI DEL PIANO AMBIENTALE

I punti principali del decreto sul Piano ambientale sono tre: innovazione, tempistica e costi che però il decreto affida al commissario Bondi nello stilare il Piano industriale. Quattro articoli e un allegato contenente le misure e le attività di tutela ambientale e sanitaria; a sua volta suddiviso in tre parti (in base ai diversi step dell’Autorizzazione integrata ambientale). Nello specifico, all’articolo 3, si dispone che il commissario straordinario debba considerare all’interno del Piano industriale innovazioni tecnologiche per eliminare o comunque ridurre “la fase di produzione del coke”, che dovrà precisare “la tempistica per i progetti definitivi per gli interventi nonché la puntuale previsione della ripartenza degli impianti”.

IL NODO

Il vero nodo però è per Bondi il reperimento delle risorse. Il Piano industriale sarebbe infatti già pronto e avrebbe ampliato i suoi orizzonti, sia economici superando la soglia dei 4 miliardi (si parla di 4,3 miliardi) sia temporali arrivando fino al 2020 (precedentemente arrivava fino al 2016). Le risorse dovrebbero essere suddivide in 1,8 miliardi per i lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale, 1,5 miliardi di adeguamento degli impianti, innovazione e manutenzione, e 700 milioni per la sicurezza. L’ipotesi che avanza più di altre, e che sembra la prima opzione, è un aumento di capitale. Bondi dovrà chiederlo a investitori, finanziatori, gruppi industriali, banche (non è escluso un ruolo della Cassa depositi e prestiti) premesso che la famiglia Riva non entrerà nella partita. Tra le altre possibilità sul piatto, quella di chiedere alla Magistratura lo sblocco di 1,9 miliardi sequestrati ai Riva per reati non ambientali.

L’Ilva ha bisogno delle risorse che ora mancano per provare a tenere in piedi una possibilità di sopravvivenza del grande siderurgico tarantino.

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