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L’India sotto elezioni a caccia di energia tra Ryhad e Tokyo

Il processo elettorale indiano cominciato a marzo si avvia a conclusione il 16 maggio prossimo, quando tutti gli Stati del subcontinente saranno andati al voto per rinnovare il Parlamento (Lok Sabha).

VOTI IN OFFERTA
Il conflitto è non solo tra le due grandi coalizioni: Alleanza democratica nazionale guidata da Narendra Modi, governatore del Gujarat dato in ascesa, e Alleanza progressista guidata dal Congresso di Sonja e Rahul Gandhi, data in difficoltà. Conteranno anche i voti islamici e le coalizioni di partiti regionali, in offerta fino all’ultimo al miglior “federatore” negli Stati-chiave, se non addirittura destinati a confluire in un “terzo” o “quarto” polo che dia voce alla pancia anti-sistema e terzomondista, a diffuse rivendicazioni e retaggi di sapore socialista-comunitario aggiornati all’epoca della globalizzazione. E’ da questi umori che non si può prescindere, tuttavia, per capire perché l’alleanza energetica Usa-India avviata dall’accordo sul nucleare tra Amministrazione Bush e Coalizione progressista nel 2005 ha incontrato resistenze diffuse.

I LIMITI DELL’APERTURA AGLI USA
Sullo sfondo di una campagna elettorale senza esclusione di colpi e ad altissimo tasso mediatico, la politica estera è stata abbastanza trascurata – una mancanza intollerabile per una grande potenza asiatica collocata in uno snodo cruciale degli interessi globali. Un ragionamento ha provato a farlo P.R.Kumaraswamy, professore di storia mediorientale alla Jawaharlal Nehru University, nell’ultimo commento Op-Med, un’iniziativa editoriale congiunta del German Marshall Fund e dell’italiano Istituto affari internazionali (IAI). La priorità, secondo Kumaraswamy, sarà ristabilire i buoni rapporti con Washington che proprio la precedente coalizione progressista (2004-2009) aveva consolidato attorno al dossier energetico-nucleare. Senza però dare pieno seguito all’iniziativa: basti pensare che non è stato ancora siglato un accordo bilaterale di scambi tra i due Paesi. Inoltre finora è fallito il progetto indiano di diventare membro permanente del Consiglio di Sicurezza, un’ipotesi ventilata dallo stesso Obama, ma senza che la diplomazia Usa la perseguisse fino in fondo.

RIPARTIRE DA WASHINGTON
Solo una leadership forte e pragmatica può ricostruire il tipo di relazioni stabili con gli Usa di cui l’India ha bisogno, e senza le quali non può svolgere un ruolo nelle aree a maggior valenza strategica per il proprio esuberante capitalismo. Una di queste, sottolinea l’intervento, sarà senz’altro il Medio Oriente da cui l’India dopo le “primavere arabe” si è come ritratta, adottando una via non-interventista che ha pagato dal lato commerciale ma non sotto il profilo del prestigio politico-internazionale.

E DAL GOLFO
Un tema, quello delle relazioni con il Golfo, che è sul tavolo anche di un altro think tank, l’Institute for defence analysis and studies (Idsa) di Nuova Delhi, presieduto da quel A.K. Antony che oltre ad essere ministro degli esteri del governo Singh, è il decano della politica estera nel Partito del Congresso. Il riferimento è al dossier “Emerging trends in West Asia” che attraverso diversi capitoli passa in rassegna mancanze e limiti della politica attuale di basso profilo verso il Medio Oriente, proponendo un maggiore coinvolgimento energetico ed economico con Egitto, Arabia Saudita e Consiglio di cooperazione del Golfo, anche per contenere indirettamente il Pakistan e liberare l’India dall’immagine di partner privilegiato di Israele ed Iran (cioè di due grandi Paesi non-arabi dell’area).

SENZA DIMENTICARE TOKYO
In continuità con una linea espressa da frazioni della classe dirigente dei due Paesi almeno dal 2000, e rinverdita dal recente viaggio del premier nipponico Abe in India, un commento pubblicato questo mese dall’Idsa sottolinea i vantaggi dell’alleanza con il Giappone nel campo energetico. L’opinione di Manish Vaid, analista dell’Observer Research Foundation di Nuova Delhi, è che per ridurre la dipendenza dalle importazioni sia necessaria un’iniezione di capitali e di tecnologie giapponesi, sfruttando l’esperienza nipponica nel campo dell’efficienza energetica e della tutela ambientale.

IL GIAPPONE IPERATTIVO NEI RI-GASSIFICATORI
E’ questa la linea di politica estera già in atto a livello di imprese non solo nell’esplorazione degli idrocarburi (accordo Mitsui-Ongc), ma anche nello strategico comparto della rigassificazione del gas naturale liquefatto (GNL), con la previsione di 10 impianti da costruire al servizio della crescente domanda energetica indiana. Qui, solo nei primi quattro mesi del 2014, il gruppo Toyo engineering corp ha vinto contratti per la costruzione di due siti nello Stato del Guyarat e il gruppo di Stato Gas Authority of India-GAIL ha siglato una lettera di intenti con la Chubu Electric per creare sinergie ed abbassare i costi del procurement di GNL.

IL RUOLO DI JBIC E NEDO
La settimana scorsa il primo gruppo privato indiano, Reliance industries, ha ottenuto una linea di finanziamento da 550 milioni di dollari da parte della Japan bank for international cooperation (Jbic) e da un pool di banche private nipponiche, finalizzato al rilancio del ramo petrolchimico del gruppo. Si tratta di un linkage indo-giapponese con al centro una banca di sviluppo internazionale pubblica, la JBIC appunto, e un’altra istituzione di diplomazia economica pubblica, la New energy and industrial technology develepment organization (NEDO). Quest’ultima agisce come braccio operativo del Ministero dell’economia, commercio e industria di Tokyo sui mercati globali nel campo dell’assistenza tecnica ambientale, partecipando al progetto “Green Corridor” da 7 miliardi di euro (cofinanziato da Banca mondiale, Germania e Stati Uniti) per l’immissione di energia rinnovabile nell’infrastruttura di rete indiana.

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