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India, gli Usa si preparano alla sconfitta del Congresso

Dopo aver osteggiato alcuni elementi chiave del partito “zafferano”, il BJP (Bharatiya Janata Party), a partire dal leader Narendra Modi (cui è perfino negato il visto di ingresso negli Usa), gli Stati Uniti stanno passando in rassegna ipotesi di riallineamento in vista del probabile successo elettorale della coalizione guidata dal BJP.

FURORI VERBALI E REALTA’ DEL CENTRISMO INDIANO
Nella polemica interna tra Congresso e Bjp, prevale ancora l’agitazione di temi ideologici come il secolarismo contrapposto al “nazionalismo hindu” della coalizione Bjp, ma l’utilizzo dell’eredità di Gandhi da parte del Bjp è sempre più problematica nella competizione centrista in corso. Senza dimenticare che una delle punte di diamante del Bjp è il giovane segretario dell’Uttar Pradesh Varun Ghandi, nipote di Indira (e membro dunque della dinastia Nehru-Gandhi)… La realtà è che entrambi i partiti maggiori sono coalizioni generaliste di frazioni che combinano interclassismo e clientelismo, regionalismo e centralismo, populismo e richiamo a valori nazionalistici, in cui si rispecchia il giovane e turbolento capitalismo indiano con le sue contraddizioni.

IL MOSAICO DELLE TERZE FORZE
Non è un caso che in questa condizione di sostanziale convergenza emergano spinte per rappresentare istanze anti-establishment. E’ il caso dell’Aam Admy Party (AAP) o Partito dell’uomo comune, con una piattaforma di ceto medio urbano, con toni da indignados e una struttura orizzontale e reticolare. Ma a fianco di questo frammento “grillino” l’India presenta un patchwork di forze con richiami ora all’islamismo moderato e secolare, ora alle istanze regionali ed etniche in particolare nel Sud dravidico, ora infine al tradizionale socialismo asiatico interpretato dai partiti “marxisti” della Costa est.

GLI USA PRONTI A TORNARE AL TAVOLO
Richard M. Rossow del CSIS sottolinea i numerosi capitoli commerciali in cui Usa ed India sono ai ferri corti. Tra questi vi sono misure come le barriere tecniche all’ingresso di prodotti farmaceutici generici indiani che hanno colpito una sensibilità molto diffusa a Nuova Delhi, in ultimo legata alla percezione di essere esclusi dal mercato “big pharma” dominato dagli occidentali. Si tratta di misure certo giustificabili, sottolinea Rossow, ma aggiunge che “sarebbe poco proficuo adottare sanzioni commerciali contro un governo che non ha svolto un ruolo nell’intraprendere politiche problematiche, e che potrebbe essere in grado di annullarle”. Un chiaro riferimento al calcolo elettorale che vede il Congresso e il governo di Singh in difficoltà, sostituito dalla coalizione Alleanza democratica nazionale che raccoglie attorno al Bjp frazioni sikh, tamil, telugu e un’organizzazione radicale hindu (RSS).

IN POLITICA ESTERA UN LABIRINTO DI POSIZIONI
Lo stesso Rossow ha prodotto un interessante specchietto di posizioni politiche rilevanti su commercio estero, investimenti e strategie geopolitiche dei principali partiti.
Mentre il Congresso, come i partiti “tamil” del terzo fronte risulterebbero legati alla prospettiva del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (una patata bollente per la stessa diplomazia Usa), il Bjp si distinguerebbe per un accento maggiore sui Brics e sull’Ibsa, il forum permanente di dialogo tra India, Brasile e Sud Africa. Inoltre il Partito di Gandhi sarebbe più attento a ripianare le dispute territoriali con la Cina, mentre l’AAP sarebbe l’unico partito che punterebbe esplicitamente a migliorare i rapporti con Washington.

IL NODO DELLA DIFESA
Mette tutti d’accordo invece il tema della produzione militare. Come è noto l’India è uno dei maggiori importatori di sistemi d’arma del mondo. L’obsolescenza di alcuni impianti e arsenali statali e la concorrenza tra aviazione, marina ed esercito hanno creato un disordinato flusso di importazioni, con un +111% nel periodo 2004-2013 secondo i dati SIPRI. Una situazione insostenibile, cui tutti i principali partiti, incluso l’AAP “anti-sistema” mirano a rimediare attraverso l’aumento delle commesse ai gruppi nazionali, dunque con una classica strategia industrialista di “sostituzione delle importazioni”.

E DEGLI INVESTIMENTI ESTERI
D’altronde quello dei limiti agli investimenti esteri è un tema particolarmente delicato in un Paese con la tradizione ideologica dell’India, connotata da un sostrato di socialismo terzomondista, nazionalismo e statalismo, e in una fase politica come quella attuale, dove tutti i partiti cercano di capitalizzare voti locali e nazionali legandosi agli emergenti nuclei imprenditoriali. Il Dipartimento politica e promozione industriale ha redatto le nuove linee guida 2014 per gli investimenti diretti esteri (Ide), dove al capitolo difesa sono elencate numerose condizioni. La possibilità di superare il tetto del 26% in imprese militari da parte di investitori esteri è soggetta all’approvazione caso per caso del Comitato esecutivo per la sicurezza (un comitato interministeriale che comprende esteri, difesa, interni e finanze, presieduto dal primo ministro).

INDOSTATUNITENSI, UNA LOBBY “DEBOLE”
Gli osservatori notano che è dubbio che in queste condizioni i gruppi della difesa Usa faranno la fila per entrare sul mercato indiano, anche perché non è ancora chiaro se, una volta superato il 26% si potrà anche superare la barriera del 49% per le imprese in settori tecnologici strategici. Con un interscambio di 100 miliardi di dollari e investimenti diretti Usa cumulati in India per 28,2 miliardi di dollari (al 2013), le potenzialità del rapporto bilaterale sono ancora frenate dalla mancanza di un trattato bilaterale sugli investimenti. Ne ha lamentato l’assenza recentemente Nisha Desai Biswal, assistente segretario di Stato per l’Asia centrale e meridionale. Lo stesso Rossow, che è stato a lungo direttore del Business council Usa-India non può che constatare la prevalenza di sentimenti anti-indiani nel Congresso e nell’élite statunitense, legati all’imprevedibilità e l’oscurità della lotta politica interna, con i suoi riverberi sui rapporti economici internazionali. Nonostante la presenza di una robusta e dinamica diaspora indiana negli Usa, soltanto un rappresentante del Congresso è di origini indiane.

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